di Ileana Barone –
È stato presentato in questi giorni il nuovo Rapporto Annuale Federculture 2020, un report annuale che fornisce un resoconto dettagliato della situazione culturale del nostro Paese.
Con il titolo “Dal tempo della cura a quello del rilancio”, il report di quest’anno ha dovuto tener conto degli effetti della pandemia e ha creato cosi una sorta di “diario” in cui vengono rappresentate indagini, dati statistici, perdite, adeguamenti e aspettative.
In questi giorni in cui è stata annunciata la chiusura dei Musei per prevenire il diffondersi della pandemia, il Ministro dei beni culturali e turismo, Dario Franceschini, intervenendo alla Conferenza ha affermato: “Appena questa pandemia terminerà sono convinto ci sarà una ripartenza dei consumi culturali molto forte. Lo abbiamo visto già con i libri. Lo vedremo in tutti i settori del consumo culturale. La gente avrà voglia di vivere la bellezza, di consumare cultura e visitare l’Italia”.
Il Rapporto però non è dedicato solo ai dati attuali ma traccia un panorama ventennale del settore culturale con indagini, dati, riflessioni e previsioni che ci permettono di guardare al prossimo futuro, rendendo punti di forza tutte quelle potenzialità che risultano ancora inespresse.
Dai dati raccolti da Federculture si evince che la pandemia ha sì colpito duramente il settore ma che lo stesso stava già vivendo delle tendenze non positive. Questi ultimi evidenziano una importante riduzione delle risorse pubbliche per il settore culturale, essenzialmente dalle amministrazioni territoriali, quindi Regioni, Province e Comuni, mentre la spesa statale è rimasta più o meno stabile.
Se nel 2000, infatti, la spesa pubblica statale e locale per la cultura, complessivamente, era pari a 6,7 miliardi di euro, nel 2018 (anno di confronto per disponibilità di dati) era scesa a 5,7 miliardi. Un miliardo in meno, perso principalmente per il calo delle risorse di Comuni (-750 milioni, -27%), Regioni (-300 milioni, -23%), e Province (-220 milioni, -82%).
Risale invece l’investimento del MiBACT, dopo una diminuzione nel primo decennio, con un +48% dal 2010 al 2018. È in dubbio che la spesa pubblica per la cultura rimane tra le più basse in Europa. Se nella UE l’incidenza della cultura sulla spesa pubblica ammonta al 2,5%, in Italia l’asticella si ferma a un poco lusinghiero 1,6%.
Calano le risorse economiche ma cala anche la domanda. Si evince infatti che negli anni finali del ventennio in esame è diminuita la fruizione culturale da parte dei cittadini. Se infatti fino al 2010 il cinema aveva registrato una crescita dei fruitori del 12,1%, nel periodo seguente ha poi perso il 6,1%. Lo stesso accade per il teatro che tra 2010 e 2019 ha visto un calo dell’8,8%, mentre era cresciuto del 27,3% negli anni precedenti.
Cambia invece la fruizione del patrimonio culturale da parte dei cittadini: le visite ai musei aumentano in venti anni del 21,5% e del 7% dal 2010. Aumentano anche le visite ai siti archeologici e ai monumenti che salgono a più 36,8% tra il 2001 e il 2019 e più del 19% negli ultimi dieci anni.
Il motivo per cui musei e monumenti hanno superato teatri e cinema, secondo Federculture, è dovuto alle politiche di gestione dei dipartimenti, orientati verso una maggiore autonomia. Ma bisogna tenere conto anche di altri fattori come, ad esempio, lo sviluppo delle piattaforme streaming e dell’intrattenimento online.
Durante i mesi di maggio e giugno 2020 Federculture ha somministrato un questionario sugli impatti della crisi da Covid19 ai propri associati, istituzioni per lo più attive nell’ambito dello spettacolo, museale ed espositivo. Hanno risposto 54 enti culturali appartenenti soprattutto al Centro e al Nord del Paese.
In molti casi le chiusure imposte dal lockdown sono state prolungate rispetto a quanto previsto: l’80% degli enti non ha ripreso l’attività dopo la Fase 2, presumibilmente a causa delle perdite subite e dell’incertezza sulla ripartenza. Più del 70% degli enti culturali hanno calcolato una perdita dei ricavi superiore al 40% del loro ricavo, prospettando perdite anche sopra il 60%.
In questo scenario cosi difficile molti attori del settore cultura hanno cambiato le loro offerte tradizionali, lavorando in smart working e implementando i servizi a distanza. Soprattutto in ambito museale la produzione di visite virtuali, programmi ad hoc o dirette live accessibili on demand, è andata bene ovunque superando il 50% delle proposte culturali.
Cosa aspettarsi per il futuro? Il rapporto non lo dice. Chi lavora nel campo culturale sa che c’è bisogno dell’aiuto di tutti per uscire da questa impasse, per rilanciare il settore culturale e scongiurare l’innesco di una nuova fase negativa.