Neeva e You.com cercano di individuare segmenti di utenti trascurati da Google e, con lo spostamento delle preferenze degli utenti e un maggiore controllo governativo, potrebbe esserci un’opportunità.
Per oltre la metà dei suoi 22 anni di storia, Google è stato il motore di ricerca più diffuso negli Stati Uniti, scrive George Nguyen, editore associato presso Third Door Media, su marketingland.com. Nel corso di questo periodo, la sua percezione è passata da startup e sfavorita per eccellenza della Silicon Valley a “custode” di Internet, sviluppando algoritmi che hanno enormi implicazioni per le aziende e per le persone in generale che, grazie a Google hanno potuto vivere una migliore esperienza di ricerca e indicizzazione nel mondo digitale. Non tutto è bene quel che finisce bene, però. Perché il gigante dei motori di ricerca nasconde anche un lato oscuro e molto criticato, legato al mercato dei dati e alla priorità che sta dando alla crescita commerciale che proprio questi dati possono garantire.
Più recentemente, un maggiore controllo su queste pratiche ha portato le autorità a livello planetario a pensare azioni contenitive per reprimere le irregolarità percepite e alcuni utenti hanno mostrato di essere attratti da nuove esperienze di ricerca più orientate alla privacy. La risposta è arrivata da nuovi browser come DuckDuckGo ed Ecosia (un browser attento alla sostenibilità che aiuta a piantare alberi mentre i suoi utenti ricercano parole online), le quali hanno criticato apertamente Google.
Fondata dall’ex capo della pubblicità di Google Sridhar Ramaswamy, Neeva è una tra queste nuove piattaforme che è stata annunciata lo scorso giugno, oppure You.com, la più recente appena inaugurata dall’ex Chief Scientist di Salesforce, Richard Socher. Mentre sottrarre una fetta significativa della quota di mercato della ricerca a Google potrebbe essere parte del loro obiettivo generale e ciò che molti professionisti del marketing vorrebbero vedere, il successo come nuovo motore di ricerca dipende da molti fattori e si preannuncia davvero difficile. Ma da qualche parte bisogna pur iniziare e, si sa, nel mondo dell’online le cose possono cambiare piuttosto velocemente. Solo qualche anno fa Yahoo contendeva il trono di Google e oggi Microsoft tenta di spingere il suo innovativo browser Edge.
Negli ultimi anni, Google ha dovuto affrontare un maggiore controllo su presunte pratiche anticoncorrenziali sia negli Stati Uniti che all’estero. Nel 2018, è stata penalizzata di 4,3 miliardi di euro (circa 5 miliardi di dollari), una maxi sanzione imposta dalla Commissione Europea, che si aggiunge alla sanzione di 2,4 miliardi di dollari imposta a Google l’anno prima, sempre da Bruxelles, perché riconosciuta colpevole di abuso di posizione dominante, ovvero, per aver favorito i propri contenuti nei risultati di ricerca.
Mentre Google adotta più o meno disinvoltamente tattiche anticoncorrenziali, qualcuno cerca di correre ai ripari. Un rapporto pubblicato dalla sottocommissione della Camera giudiziaria sull’antitrust ha raccomandato una serie di potenziali rimedi per ripristinare la concorrenza. Tutto è ancora fumoso e, mentre i tentativi sono sempre più insistenti, Google minaccia di portare la lotta in tribunale consapevole che, in questo modo, potrebbero essere necessari due anni prima di una sentenza iniziale e anche in questo caso la società potrebbe intentare un ricorso.
Le alternative a Google esistono davvero?
La creazione di un motore di ricerca in grado di competere in modo significativo con il mostro delle ricerche richiederebbe un prodotto che mostri risultati almeno altrettanto pertinenti, utili, veloci. Quindi creare un brand che catturi l’attenzione e la fiducia di alcune decine, e poi centinaia di milioni di persone e molto rapidamente. Secondo Rand Fishkin, CEO e co-fondatore di SparkToro, un cambiamento in questo senso è alle porte, visto l’avvicinamento della grande G “all’impero del male”.
“Ad essere onesti, non vedo come tutto ciò possa accadere”, ha detto dall’altra parte Eric Enge, preside di Perficient, a Search Engine Land, “la qualità dei risultati di ricerca ha molto a che fare con i dati a cui hai accesso e chi presenta il maggior numero di dati vince: non vedo come qualcuno possa battere Google in questo senso.”
Le persone hanno cercato, cliccato e trovato per anni su Google, regalandogli una banca dati enorme. Questa è la sua vera salsa segreta.
Secondo Enge la battaglia non deve essere sul numero, ma sulla qualità. Invece di costruire un motore di ricerca che possa sfidare Google, “l’obiettivo potrebbe essere quello di allettare una nicchiao di utenti interessati a costruire il proprio ‘angolo del web'”, ha detto riguardo a Neeva, motore di ricerca che punta sull’etica (garantendo privacy e nessun uso commerciale di dati sensibili) e su un’esperienza personalizzata ma a pagamento. Secondo quanto riferito costerà meno di $10 al mese al momento del lancio. Per ora è possibile registrarsi alla lista d’attesa per “diventare un tester Neeva”. Probabilmente, come si fa strategicamente fuori dai più ambiti locali del centro, per creare una certa massa critica e un senso di protagonismo nei nuovi iscritti. Questa strategia non richiederà miliardi di utenti per trasformare Neeva in un’azienda di successo, ma un buon numero di utenti motivati. Simile la strategia anche per il browser DuckDuckGo, cje si impone con il payoff: “Ti scoccia essere spiato online? Possiamo aiutarti.“
Probabilmente non basterà per portare al successo queste alternative. “Questi utenti useranno probabilmente ancora un po’ di Google, ma potrebbero utilizzare Neeva o You.com per scenari specifici“, ha affermato Enge, “Se queste aziende possono mantenere un alto livello di concentrazione su aspetti particolari non coperti da Google, potrebbero avere una possibilità”. Ma i conti senza l’oste non si dovrebbero mai fare. E mentre le “alternative” agitano il mare, proprio la loro esistenza, mentre può offrire agli operatori di marketing e agli utenti più opzioni, può anche, in una certa misura, influenzare la strategia di Google e costringerlo a rispondere soddisfacendo maggiormente le preferenze degli utenti e dei professionisti della ricerca. Il che, nella nota ottica della libera (e onesta) concorrenza, potrebbe migliorare il panorama per tutti.