di Giacomo Torresi –
Da anni siamo abituati a collegare al concetto di social network termini come “post”, “like”, “hashtag”, “storie”, “retweet”, “tag”, “selfie”, a compiere azioni come condividere foto, video o frasi più o meno profonde.
Oggi tutto questo sembra superato e spazzato via dal social del momento, Clubhouse, dove l’unico modo per interagire è la voce.
Lanciato nel febbraio 2020, da due imprenditori della Silicon Valley (che sorge nella San Francisco Bay Area, nel Sud della California), Paul Davison e Rohan Seth, può essere definita come una grande radio social.
È passata, in meno di un anno, da 1.500 a oltre 6 milioni di iscritti.
Come funziona
L’utilizzo è semplice. Si creano delle “stanze”, dove gli speaker (i creatori delle stanze) parlano e gli altri utenti possono alzare la mano e intervenire. In parole povere, ci si incontra e si parla di qualcosa, tutto rigorosamente in diretta.
La caratteristica che rende Clubhouse così particolare (e ambito) è che almeno per ora l’ingresso nell’app non è libero, si entra solo se si riceve un invito.
Ciò ha prodotto una vera e propria caccia all’invito, con persone realmente disperate disposte perfino a comprare un invito su eBay.
Essere su Clubhouse per molti è diventato uno status symbol, la dimostrazione che esserci equivale a valere.
Il perché del successo
Clubhouse è la prima vera innovazione social dopo anni.
Nei primi anni duemila il boom dei social network era basato sul testo come in Facebook e Twitter, dal 2010 c’è stato il boom di foto e video come in Instagram, Snapchat e TikTok, oggi, nel 2021, il modo di vivere i social network potrebbe essere nuovamente stravolto.
Clubhouse da un lato cambia il mezzo, usa la voce in un internet dominata dalle immagini, dall’altra cambia la logica creativa, non esistono più i filtri che rendono il soggetto più bello, più attraente e più interessante, conta ciò che si vuole dire, una vera e propria rivoluzione.
A differenza dei “vecchi” social, Clubhouse richiede tempo, impegno e presenza e ripudia il concetto di like, della continua ricerca del consenso popolare. Unica cosa rimasta invariata è la presenza dei follower, amici (e non) che ci seguono.
Appena lanciata l’app valeva 100 milioni di dollari, oggi, in meno di 12 mesi, la sua valutazione ha raggiunto la cifra di 1 miliardo di dollari.
Per adesso l’app è disponibile solo per i dispositivi iPhone e l’unico modo per scaricarla è andare nell’AppStore.
I dubbi sulla privacy
I primi dubbi sulla privacy derivano proprio dalla modalità con cui si entra in Clubhouse.
Ogni profilo, a differenza di altri social, è legato solo ed esclusivamente al proprio numero di telefono.
Nel momento della registrazione, ancor prima di aver ricevuto un invito, Clubhouse chiede l’autorizzazione per accedere alla lista contatti della propria rubrica.
La società che gestisce l’app ha già rassicurato che tutti i dati registrati sono conservati e gestiti nel pieno rispetto della privacy e non sono in alcun modo rivenduti ad aziende terze.
In Europa, le varie autorità garanti per la protezione dei dati, tra cui quella italiana, hanno già attivato una serie di indagini per capire come i dati di milioni di cittadini siano realmente tutelati.
Ad oggi la società sembra non aver ancora dato una risposta definitiva su come vengono gestiti i dati e soprattutto come verranno gestiti in futuro.
La problematica è nata proprio dalla modalità di registrazione all’app.
Dando l’accesso ai nostri contatti, l’applicazione salverà tutti i numeri presenti in rubrica, anche di chi su Clubhouse non c’è, non vorrà esserci o non ha un iPhone e quindi non potrà esserci.
Altro elemento controverso in fatto di privacy è che entrando nella sezione contatti dell’app, sotto ogni nome degli utenti non ancora iscritti, viene riportato il numero di persone che sono su Clubhouse di quel contatto specifico, senza che quella persona abbia dato il consenso affinché si possa vedere quanti suoi contatti siano già nella piattaforma.
Ma cosa registra Clubhouse? Tutto. La posizione, le stanze che si frequentano, le interazioni, il tempo trascorso in una conversazione, gli account degli altri social a cui si è iscritti ma, soprattutto, l’audio.
La società che gestisce l’app afferma che le registrazioni sono conservate temporaneamente e che poi vengono cancellate.
Anche su questo aspetto Clubhouse non specifica quale uso viene fatto delle registrazioni e per quanto tempo vengono conservate.
Secondo Guido Scorza, membro Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, ad oggi, Clubhouse potrebbe, a livello teorico, essere sanzionata dall’Europa per una o più violazioni della privacy.
Da quanto si è visto sulla privacy c’è ancora tanto da lavorare. Sicuramente gli sviluppatori “pagano” il boom riscontrato nelle ultime settimane e la “giovane età”.
Conclusioni
Al di la di tutte le problematiche finora descritte sembra evidente il perché di tanto successo.
In un periodo storico in cui, causa pandemia, lockdown e distanziamento sociale, siamo stati invasi da videochiamate, smartworking e riunioni su zoom, il prendersi del tempo, perché Clubhouse richiede tempo, per parlare principalmente con sconosciuti senza il “disturbo” del guardarsi in faccia, lasciando spazio solo al proprio pensiero e alla voce, sembra aver colmato quella necessità di esprimersi senza quei filtri tipici delle immagini e dei video che condizionano il messaggio comunicativo.
La forza di Clubhouse è proprio la parola.
Parlare collega le persone, le fa uscire dalla staticità dei social tradizionali e le fa interagire.
Sono iscritto su Clubhouse da poco, lo sto studiando e penso abbia delle grandissime potenzialità. Ho due inviti, che però non vendo sia chiaro, li custodisco gelosamente, ma per chi fosse interessato può cercarmi sull’app con questo nick: @skinnyjack.