di Virginia Rifilato –
In questi mesi di pandemia, che continuano ad essere una scommessa per molti albergatori e ristoratori, c’è qualcuno che con dedizione, amore per la tradizione e soprattutto appassionato della sua struttura incastonata tra le colline della Val d’Orcia, ha deciso di riaprire dopo i duri mesi di chiusura. Vincendo la scommessa. Ci troviamo in una delle più note località termali della Val d’Orcia, Bagno Vignoni, in particolare nell’Albergo Le Terme di proprietà della famiglia Banchetti e di cui Diego ne è l’onorato portavoce. Prima ancora di diventare l’erede di questa attività, Diego si è diplomato in fotografia allo IED di Roma e ha avuto un’agenzia di stampa per 5 anni a Milano.
La prima curiosità che vorremmo chiedergli è come stiano vivendo quest’anno di pandemia, quali ripercussioni abbiano avuto e come sia possibile che, nonostante tutto, a fine Gennaio (notoriamente periodo di bassa stagione), il loro albergo sia già molto frequentato, con la sua magnifica spa e il rinomato ristorante (l’unico aperto in questo periodo, oltre alla norcineria della signora Ornella) che pullula di clienti desiderosi di piatti autentici e di qualche raggio di sole con vista sulla vasca romana. Ma procediamo con ordine.
Per chi non la conoscesse, Bagno Vignoni è stata per anni meta di cineasti e fotografi di fama mondiale tra l’Ottanta e il 2000. Ma questo incredibile borgo non ha vissuto di sola gloria. Suggestivo lo è sempre stato, con la sua vasca romana di acqua termale che sgorga a 50 gradi nella piazza centrale, la sua architettura quattrocentesca e il suo magnifico loggiato che ha visto bagnarsi illustri personaggi sin dall’antica Roma, annoverando anche papi, signori rinascimentali e martiri divenute sante. L’acqua che sgorga da questa vasca segue un percorso scavato nella roccia fino a raggiungere il caratteristico Parco dei Mulini, realizzando delle scenografiche cascatelle che confluiscono nelle pozze termali (le terme libere), in uno scenario davvero suggestivo. Ma per lungo tempo Bagno Vignoni ha visto susseguirsi periodi di decadenza, finché non ha conosciuto le nuove luci della ribalta degli anni Ottanta. Il primo ad innamorarsene è stato il russo Andrej Tarkovskij, che ha deciso di girare nel 1983 in Val d’Orcia e a Bagno Vignoni alcune scene del suo film Nostalghia, vincitore in quello stesso anno del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes. E come dimenticare i memorabili borghi e paesaggi de Il paziente inglese (1996) di Anthony Minghella o le distese di grano de Il gladiatore di Ridley Scott (2000)? Sempre in questi anni fecondi si organizzava anche il Toscana Photographic Workshop. «E’ venuta qui anche Annie Leibovitz (fotografa statunitense, NdR), e per quasi 15 anni hanno frequentato la zona centinaia di fotografi, che organizzavano sessioni tra i campi nonché sessioni serali aperte al pubblico. E’ stato davvero un bel periodo.»
Ma negli anni Settanta, e precisamente nel 1977, quando inizia l’avventura della famiglia Banchetti, Bagno Vignoni era solo un borgo abbandonato, che nessuno avrebbe mai immaginato potesse tornare ad essere, di lì a breve, uno dei luoghi più famosi della Val d’Orcia.
«Quando mio nonno, di famiglia contadina, ha deciso di lasciare le Marche per cambiare vita, ha acquistato prima l’azienda agricola e poi questa struttura dove siamo oggi, pagandola meno di un appartamento a San Quirico d’Orcia. L’Hotel Posta era già adibito ad ospitalità, c’era solo quello. Si lavorava tre mesi l’estate quando le persone venivano a fare le cure alle terme. Ma sin da subito i miei nonni hanno intrapreso l’attività di ristorazione, organizzando pranzi ed eventi per i contadini di zona. Erano amici di tutti.»
Inizia così la nostra intervista a Diego Banchetti, titolare dell’Albergo e Bistrot Le Terme (conosciuto storicamente come “Ristorante La Terrazza”) che gestisce insieme alla sorella Laura e alla compagna Chiara.
«E’ una realtà incredibile la nostra, forse unica. Non abbiamo nemmeno un vero mese di bassa stagione durante l’anno; il periodo in cui abbiamo meno clienti è Luglio, ma la nostra struttura è comunque piena per metà. I nostri clienti possono andare in bicicletta, fare passeggiate immersi nella natura o tra i vicoli di questi borghi magnifici, godendo di un posto unico al mondo. Non ce ne sono tanti di posti così, in cui puoi scendere dalle terme dell’albergo trovandoti subito in paese come se fossi in una villa privata, senza traffico, con i bambini che scorrazzano liberi.»
In che anno sei diventato, tu, Diego, il titolare dell’albergo, e quando avete realizzato questa bellissima spa e la sauna romana?
«Nel 2007 abbiamo avuto l’opportunità di realizzare la nostra spa, e i lavori hanno richiesto due anni. Recuperiamo il calore dell’acqua termale, perché l’acqua sgorga a 50 gradi e ovviamente non si può utilizzare a questa temperatura; sfruttiamo quindi il surplus di temperatura per fornire energia alla spa stessa e scaldarla ai suoi 37-39 gradi attuali. Abbiamo lavorato nell’ambito del risparmio energetico in questa maniera. Anche nella scelta dei materiali siamo stati molto accurati. Il bancone della spa è stato fatto con le tavolette della risulta della cava di marmo qui sotto. Il nostro primo e più longevo cliente è stato lo scenografo Mauro Radaelli, e insieme ad altri artisti ha realizzato i mobili di tutta la struttura; anche il bancone del bar è fatto con le gronde del palazzo smontate e conservate da mio nonno.»
Nella stessa ottica green e di recupero, Diego e famiglia hanno ristrutturato la terrazza di 85 mq al 4 piano dell’albergo, che è stata ricoperta di erba e che viene utilizzata nel periodo estivo come solarium.
Come avete trascorso quest’anno, tra chiusure, normative anti-covid e DPCM?
«In questo ultimo anno abbiamo vissuto giorno per giorno, abbiamo fatto gli interventi per mettere la struttura in sicurezza; siamo stati forse gli ultimi a subire e i primi a ricominciare come albergatori. Da Ottobre a Gennaio però siamo stati proprio chiusi, era una forzatura troppo grande far cenare gli ospiti in camera a causa delle restrizioni. Dalla Befana in poi abbiamo deciso di tentare, e riaprire. Il nostro punto di forza è avere il 75% di clientela italiana, siamo atipici quasi in tutto come albergatori. Prevalentemente abbiamo clienti proprio toscani, molti altri vengono da Roma, ma anche da Milano e dall’Emilia Romagna. Non abbiamo bisogno di farci pubblicità, anzi preferiamo venderci meno rispetto a quello che offriamo realmente: così facendo la clientela rimane soddisfatta, si fidelizza, diventano tutti amici e sono felici ogni volta dell’esperienza fatta qui con noi.»
41 camere (tra hotel e b&b adiacente, dotato di un bel giardino e di un orto rialzato) con 30 dipendenti assunti a tempo indeterminato, Dario ci confida che la gran parte di loro ha il contratto da 15- 20 anni. «Rapporti di lunghissimo termine, che hanno i problemi e la bellezza dei rapporti familiari, non più professionali.»
Forse risiede proprio in questa conduzione familiare e nei rapporti a lunga durata la vostra formula anti-crisi?
«Probabilmente sì. Ma direi soprattutto che in questo ultimo anno abbiamo raccolto quello che abbiamo seminato in trent’anni, facendo sempre del nostro meglio, cercando di non abbassare troppo lo standard neanche nei giorni in cui abbiamo avuto solo 4 camere occupate a causa del covid. Ma quei clienti sono stati come papi a Ottobre! Con la spa tutta per loro, il borgo che ha vissuto una situazione quasi onirica quando la situazione si era inasprita. Questi clienti torneranno sicuramente!»
Oggi la ristorazione è la principale attività di famiglia dunque. Come vi rifornite delle materie prime, e come le scegliete?
«Innanzitutto ci tengo a dire che il 60% 65% per cento dei prodotti che utilizziamo è di zona, è importante conoscere la filiera. Ma non tutto può essere prodotto in Val d’Orcia, sarebbe una menzogna affermare il contrario. Suino e bovino (noi abbiamo solo carne di chianina) sono di zona, il pollo viene dall’Amiata, e quando l’allevatore lo finisce è finito, punto, non lo prendiamo da un’altra parte. Ma il riso, per esempio, qui in Val d’Orcia non si produce.»
E cosa ricordi della tua infanzia qui nel borgo?
«Quando io ero piccolo l’acqua termale della vasca romana usciva alla capienza di 38 litri al secondo, ma da quando ha diminuito il flusso per motivi naturali ci viene portata artificialmente da un pozzo sotterraneo: attualmente fuoriescono nella vasca solo 6 litri al secondo. Già ora fuma, voi immaginate trent’anni fa quando il vapore che sprigionava era molto più di oggi, non si vedeva dall’altra parte della vasca! E un’altra caratteristica erano le piante di fico che circondavano la vasca, la vegetazione era molto diversa. I fichi sono stati eliminati perché distruggevano le mura, mentre internamente la vasca è tutt’oggi piena di piante di capperi.»
E di questo palazzo cosa puoi raccontarci?
«Questo era il Palazzo della famiglia Piccolomini di Pienza. E’ ben visibile lo stemma con le due corone, la Piccolomini e quella papale (Papa Pio Piccolomini), attribuito al Rossellino. Negli anni ’50 il palazzo è stato rialzato dal proprietario precedente a mio nonno, che aveva vinto metà della proprietà a carte, e ha rivestito tutto l’hotel con il travertino bianco che vedete negli anni ‘60.»
Progetti per il prossimo futuro?
«Nel prossimo futuro ci piacerebbe incrementare le esperienze gastronomiche e i corsi di cucina che organizziamo già da qualche anno. E ci piacerebbe tornare alla produzione. Quest’anno abbiamo fatto il nostro olio, della nostra azienda agricola. Il cibo è passione, è territorio. Ci piacerebbe sviluppare la cultura del cibo con l’esperienza fornitaci anche dalla clientela e realizzare un bell’orto nostro, oltre a questo piccolo che già abbiamo nel giardino del B&B. Facciamo mangiare 25.000 persone all’anno nel nostro ristorante, quindi vorremmo svilupparne due: uno a km zero, coerente con i numeri che il territorio può sostenere; l’altro invece per grandi numeri, sempre di alta qualità ma non esclusivamente a filiera corta.»
Per dirla con le parole di Diego, ci sentiamo anche noi, ormai, clienti affezionati, che sicuramente torneranno all’Albergo Le Terme per godere ancora un po’ di questo fascino e calore d’altri tempi. Un bene prezioso, soprattutto in quest’ultimo anno che tanto ci ha insegnato.