𝙇𝙖 𝘾𝙤𝙧𝙩𝙚 𝙐𝙚 𝙨𝙥𝙚𝙘𝙞𝙛𝙞𝙘𝙖 𝙘𝙝𝙚 “𝙞 𝙫𝙞𝙣𝙘𝙤𝙡𝙞 𝙞𝙢𝙥𝙤𝙨𝙩𝙞 𝙖𝙡 𝙡𝙖𝙫𝙤𝙧𝙖𝙩𝙤𝙧𝙚 𝙥𝙧𝙚𝙜𝙞𝙪𝙙𝙞𝙘𝙖𝙣𝙤 𝙞𝙣 𝙢𝙤𝙙𝙤 𝙖𝙨𝙨𝙖𝙞 𝙨𝙞𝙜𝙣𝙞𝙛𝙞𝙘𝙖𝙩𝙞𝙫𝙤 𝙡𝙖 𝙨𝙪𝙖 𝙛𝙖𝙘𝙤𝙡𝙩𝙖̀ 𝙙𝙞 𝙜𝙚𝙨𝙩𝙞𝙧𝙚 𝙞𝙡 𝙥𝙧𝙤𝙥𝙧𝙞𝙤 𝙩𝙚𝙢𝙥𝙤 𝙡𝙞𝙗𝙚𝙧𝙤”
“La reperibilità costituisce orario di lavoro se i vincoli imposti al lavoratore pregiudicano in modo assai significativo la sua facoltà di gestire il proprio tempo libero durante questo periodo.
Lo stabilisce la Corte europea di giustizia, chiamata a pronunciarsi su due cause che riguardavano un tecnico incaricato di assicurare il funzionamento dei centri di trasmissione televisiva in zone montane della Slovenia, e un funzionario che esercitava attività di pompiere nella città di Offenbach am Main in Germania.
Come spiega Europatoday, entrambi i ricorrenti chiedevano che i loro periodi di prontezza in regime di reperibilità fossero riconosciuti come orario di lavoro ed essere remunerati di conseguenza, indipendentemente dal lavoro concretamente svolto durante tali periodi.”
Questo è quanto scrive Marco Carlomagno, Segretario generale FLP – Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche.
La reperibilità del lavoratore rientra nell’orario lavorativo quando determina vincoli tali da pregiudicarne il tempo libero. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia con due diverse sentenze – C-344/19 e C-580/19 – pubblicate entrambe il 9 marzo del 2021.
La sentenza è un passo avanti
I lavoratori protagonisti delle vicende poste all’attenzione della Corte ritenevano le restrizioni dovute alla natura della prestazione lavorativa, e dunque i loro periodi di reperibilità, dovessero essere riconosciuti come orario di lavoro ed essere remunerati di conseguenza, a prescindere dall’effettivo svolgimento o meno di un lavoro concreto durante gli intervalli di reperibilità.
Today.it riporta quanto segue: “La Corte sottolinea poi che ai fini remunerativi una normativa nazionale, un accordo collettivo di lavoro o una decisione di un datore di lavoro, possono prendere in considerazione in maniera differente i periodi in cui vengono realmente effettuate delle prestazioni di lavoro e quelli durante i quali non viene svolto alcun lavoro effettivo, anche quando tali periodi sono considerati come orario di lavoro, dal momento che “le modalità di remunerazione dei lavoratori per i periodi di guardia o prontezza non ricadono sotto la direttiva 2003/88”.
In determinati casi
Quindi, secondo i magistrati europei solo in determinate circostanze la reperibilità va compresa nell’orario di lavoro, circostanziando la questione al rapporto effettivo tra il dipendente e il suo datore di lavoro quando questi andrebbe a limitarlo nelle sue azioni ed impedirgli di riposarsi come dovrebbe. La questione è quanto mai urgente, considerato che le nuove modalità di lavoro “fluido”, nonostante possano essere viste come un vantaggio per aziende e dipendenti, senza una normativa adeguata, potrebbero facilmente condurre ad iniquità, slegando la prestazione lavorativa da un orario effettivo ed estendendola potenzialmente a tutta la giornata.
Il primo postulato della ben nota Legge di Parkinson indica: “Il lavoro si espande fino ad occupare tutto il tempo disponibile”. Ecco, ora bisogna mettersi d’accordo se tale tempo va considerato dal punto di vista del datore di lavoro, che lo potrebbe considerare effettivamente illimitato, o dal punto di vista del lavoratore, che potrebbe volerlo restringere al minimo sindacale.