/

Esclusiva I’M. Giancarlo Fisichella e la sua passione per il mare, “La prima barca non si scorda mai”

9 mins read
Inizia la lettura

Gabriele Nobile, Ceo di InsideFarm ed Editore di questo magazine, nel 2020 intervistava il pilota Giancarlo Fisichella. I’M ha voluto riproporre l’articolo integrale.


Il pilota romano, famoso in tutto il mondo, ci racconta in esclusiva la sua passione (meno conosciuta di quella per i motori) per le imbarcazioni e il mare col quale confessa di avere un “rapporto intenso, quasi d’amore”.

Un a tu per tu speciale.  Nato e cresciuto a Roma, è famoso in tutto il mondo:  noto pilota di Formula 1,  ha disputato 231 gran premi,  portando a casa 275 punti iridati, vincendo il Gran Premio del Brasile nel 2003, il Gran Premio d’Australia 2005 e il Gran Premio della Malesia 2006. Senza contare la serie di pole position , altri piazzamenti prestigiosi e vittorie in altri circuiti come la 24 Ore di Le Mans del 2012 e del 2014 a bordo della Ferrari 458 Italia dell’AF Corse.  Molti di voi avranno già capito di chi stiamo parlando: Giancarlo Fisichella. E se la sua passione per i motori è nota a tutti, lo è meno quella per il mare. E proprio di questa ci racconterà nel corso della lunga ed esclusiva intervista che ci ha rilasciato.

Amante del mare ed attento armatore, negli anni, ha posseduto diverse imbarcazioni sempre curate, per scelta, in prima persona. Lo abbiamo Incontrato  all’Olgiata,  location raffinata e tranquilla a nord della Capitale, dove risiedono tanti personaggi famosi.

Giancarlo, qual è il tuo rapporto col mare?

“Il mio rapporto con il mare è bellissimo ed intenso, quasi d’amore. Tutto nasce dal fatto che è stato mio padre a farmelo conoscere ed apprezzare in maniera così profonda, direi quasi viscerale. Papà è nato in Sicilia, precisamente a Catania, quindi sul mare. Quando ero bambino passavo lunghi periodi in quelle località e ho avuto la possibilità di conoscere posti sempre diversi. Mio padre mi ha insegnato i veri valori “marini” oltre al fatto di farmi conoscere ed apprezzare l’arte culinaria di quei posti splendidi. Questa sua tradizione mi è entrata dentro, tanto è vero che poi crescendo, è diventata una passione sempre più grande e quando ho avuto la possibilità, mi sono comprato la prima barca…”.

Da pilota di Formula 1, il tuo primo pensiero nell’acquistare una barca è stato quello di comprarne una performante o magari virare su una a vela per goderti ogni secondo del tuo tempo libero? Oppure sei andato su un giusto compromesso?

“Questa passione per le barche è iniziata quando sono stato ospite da un amico che  aveva  una barca molto performante, aveva un’Alfa Marine con 3 motori che faceva 56 nodi. Parliamo dell’anno 1996-97.  Per un pilota una barca performante così è l’ideale, è quello che ti piace.

Non ho mai pensato ad una barca a vela, anche perché è molto complicato avere una barca a vela se te la devi gestire da solo. Mentre una barca a motore è molto più semplice. Anche quella è complicata, però una volta che hai imparato dove vanno messe le mani ed una volta che impari le manovre, è fatta. Non è lo stesso per  la barca a vela, la devi studiare molto bene: ha una velocità massima di 10-12 nodi… Avendo poco tempo per spostamenti e via dicendo, io ho sempre preferito una barca a motore. Negli anni 2000, quando ho cominciato ad avere questa passione e ho comprato la prima barca, avevo già una figlia. Quindi, dovevo trovare un compromesso di performance ma anche di comodità e ho preferito farmi un flying bridge che per un pilota non è un open (sinceramente, mi piaceva più un open), però alla fine per comodità ho scelto il flying bridge”.

Quindi, diamo un nome a questo flying bridge?

“Era un Azimut 58. Come prima barca non era male”.

In quegli anni eri  già un pilota di Formula 1…

“Sì sì, stavo con la Benetton. Se non sbaglio, quando ho avuto questa barca era il 2002. C’ho fatto una stagione e subito dopo ho voluto fare un passo più grande…”.

Restiamo prima al Flying Bridge… Visto che era la tua prima esperienza, ti sei affidato ad un comandante? Ad un equipaggio?

“Sì, era la mia prima vera esperienza. Avevo un comandante, comincia ad esser una barca importante. Già con questo comandante cominciavo a voler imparare. Vedevo quello che faceva, chiedevo… Ogni tanto facevo qualche manovra io, però, il primo anno ho preferito più farmi la vacanza, pensare alla tranquillità”.

Per un pilota di Formula 1, l’esperienza su un Flying Brodge è più facile o più difficile? Conoscere l’elettronica e la parte dedicata ai motori facilita o il mare è un altro mondo? 

“Il mare sicuramente è un altro mondo ed è tutto diverso. Però, negli anni successivi, mi dedicavo molto a questo. Mi piaceva sapere tutto, la cilindricità dei motori, quante turbine avevano… Mi sono sempre informato su tutto. Chiedevo agli esperti”.

Il setting lo facevi tu o lo facevi fare al comandante?

“Dopo ho imparato a fare anche quello…”. 

Il primo ormeggio da solo? C’era la stessa adrenalina di quando entri nel box?

“Con accanto il comandante. L’adrenalina è diversa, perché la manovra è tutta diversa. Per fortuna, c’è l’aiuto dell’elica di prua. Qualcuna ha anche l’elica di poppa. Ho prima provato in mezzo al mare a fare le manovre, a girare su me stesso. Insomma, mi ha fatto fare esperienza. Poi dopo la prima manovra in porto ad ormeggiarla mi sentivo abbastanza sicuro, ma non nascondo che c’era anche un pò di adrenalina perché non avevo in mano proprio al 100% la situazione. Però, già la prima volta è andata”.

Ti ricordi che marina era?

“Era in Sardegna, a Poltu Quatu”. 

Posto bellissimo ma difficile lì…

“Sì, quando c’è il maestrale poi…”.

Poi da là, hai fatto il grande salto…

“Sì, nel 2003 feci un salto molto impegnativo ed importante. Io, sinceramente, stavo vedendo per un 68, dopoché venni in contatto con la Canados ma non ricordo se mi chiamarono loro tramite il mio manager. Mi fecero una proposta davvero allettante: ritirarono la mia barca e con la differenza passai al Canados 80. Era la prima barca del nuovo disegno di una serie di disegni. La Canados faceva le barche da tanti anni, ha una grande tradizione e quell’anno mi fecero vedere il disegno della nuova generazione, e mi piacque moltissimo. Tanto è vero che la mia fu la prima e ne vendettero tantissime. Tuttora, il disegno è quello dell’86”.

Tu hai visto crescere la creatura…

“Sì. Andavo alla Canados, che sta qui ad Ostia, settimanalmente. Insieme a mia moglie, abbiamo scelto di tutto: dalle tendine al layout tipo le tappezzerie, la moquette, il legno, il televisore. Come se avessimo costruito una casa ed invece era una barca”.

Un pilota romano famoso che compra una barca in uno dei cantieri come Canados (che è l’acronimo di Cantieri di Ostia), magari hai creato un bel mix…

“Infatti ero contentissimo perché un conto è avere un cantiere a Viareggio o sull’Adriatico… Sarebbe stato diverso. Io l’ho vissuta proprio come una start up. L’ho vista crescere. Ogni settimana, io stavo lì, la vedevo. Avevo una voglia pazzesca che fosse finita il più presto possibile”.

E’ stata una grande spesa ma in qualche modo è stata vissuta perché settimanalmente la vedevi crescere…

“Sì sì. La vedevo migliorare…”. 

E’ vero che i venditori di barche “corteggiano” più la moglie che il marito, sapendo che alla fine sono sempre le donne a decidere?

“E’ la verità ed è un fatto mio personale. A me fai vedere 5 tipi di legni e non so quale scegliere, allora vado da mia moglie e le dico: ‘Secondo te, qual è meglio fra questi 2 qua, quale ti piace di più? (faccio io una prima scrematura)’. E lei va dritta quasi su tutto”.

Quindi, una barca personalizzata per moglie e figli… Avevi già un’idea di impiantare un equipaggio?

“Sì, non bastava un comandante, avevo anche un marinaio. In quel mese e mezzo o due, la vivevamo come una casa per luglio e agosto e portavamo anche la nostra babysitter, che faceva anche un po’ da hostess”. 

Quant’è durata quest’avventura con l’80 della Canados?

“Quest’avventura è durata, se non sbaglio, dal 2003 al 2011”.

In quel periodo in cui avevi deciso di sfruttare questa barca decisamente importante come un 80 piedi, avevi anche l’idea di passare il tempo in una casa al mare oppure eri determinato a stare sulla barca?

“Per me, d’estate esisteva solo la barca, non esisteva nient’altro. Per fortuna che anche mia moglie aveva questa idea qua: le piaceva stare sulla barca. Se hai una moglie che soffre il mal di mare o non le piace, è un casino. La barca la devi vendere.

Anche quando stavo a Montecarlo, durante il Gran Premio o qualche periodo estivo che avevo anche casa lì, io non ci andavo a casa. Ci mandavo mio fratello, ci mandavo mia sorella. Io dovevo dormire in barca. Quando entravo dentro la barca, avevo un cambiamento d’umore”. 

La sensazione di entrare in un negozio che vende accessori nautici. Quante volte ci sei entrato?

“Tante volte, era una droga. Confermo che avrei comprato tutto”.

Eri un ottimo cliente?

“Sì sì, ero un buon cliente”.

Ti è mai capitato di fare una crociera? Invece di stare un mese in un posto, seguire un itinerario?

“Diciamo che d’estate come base c’era la Sardegna. A parte due volte che siamo andati a Formentera. Il problema mio è che ogni 2 settimane, anche d’estate avevo una gara. Quindi, anche quando mandavo la barca a Formentera, non è che ho fatto il trasferimento io, perché non potevo. Ho mandato il comandante e il marinaio e noi siamo arrivati in aereo. Poi quando siamo stati sul posto, siamo stati 3 settimane, un mese, noi non dormivamo neanche in porto. Decidevamo all’ultimo e non c’era posto in porto. Io ho fatto 3 settimane, quasi un mese in rada. Ci spostavamo in base ai tempi”.

Era il periodo in cui tu correvi in Formula 1… Ricordiamo che hai fatto 231 gran premi e si corre da marzo a dicembre. 

“Sì sì, era quel periodo”. 

Ho notato che questa passione per le barche ce l’hanno più i piloti di moto che delle auto… Confermi?

“Non ne vedo tanti. So che Rossi ha un Pershing. Prima ce l’aveva Villeneuve, Coultard, Button…”.

Tra di voi parlavate anche di queste cose?

“Sì, ci trovavamo ogni tanto a parlarne”.

Non facevate la gara a chi ha la barca più lunga? Esiste questa cosa…

“No no, io avevo trovato la mia misura perché era la barca perfetta per la famiglia. Già era impegnativa, una più grande ancora sarebbe stato troppo”.

I tuoi figli avevano il piede nautico? Oppure avendo una barca così importante, aspettavano il comandante?

 “Sì, diciamo che eravamo un po’ viziati su questo. Loro non hanno mai pulito la barca col tubo d’acqua in mano, no. Gli ultimi 2 anni, quando io poi ho venduto l’80, ho fatto un cambio e ho preso un Nautilus 56 e non avevo né comandante né marinaio. Quindi, ci siamo rimboccati le maniche io, mia moglie la sera quando ritornavamo pulivamo il tubo, il copertone col sapone”.

Pure questo fa bene ai ragazzi…

“Certo! Quando pulivo, davo delle disposizioni anche ai ragazzi. Gli ultimi 2 anni li ho fatti anche lavorare. A tratti erano divertiti, a lungo andare erano scocciati”.

Venduto l’Icon?

“Adesso casa, sì. Oppure charter, oppure l’anno scorso ho fatto una crociera su una nave da 300 metri”. 

Idea in futuro di ricomprare una barca?

“Mi piacerebbe e sicuramente lo farò quando sarò più libero nel post-carriera. Cioè, io mi vedo con mia moglie che ci prendiamo questa barca e ce la godiamo io e lei”.

Potrò mai convincerti a prendere una barca a vela?

“Non lo so, la barca a vela non mi convince. Mi convince più un catamarano”. 

C’è una data precisa che cambia, purtroppo in negativo, la storia e il futuro della nautica in Italia: mi riferisco al 2010 quando Monti introdusse la tassa sul posto barca.  Il settore è passato da quasi 7 miliardi di euro di fatturato ad 1, moltissime aziende sono fallite. La maggior parte dei cantieri italiani hanno avuto delle difficoltà, altri sono riusciti ad internazionalizzare il brand e la stessa Canados è di proprietà di un fondo… Come hai vissuto questo che non può essere definito diversamente da un vero e proprio tracollo?

“E’ stato brutto perché il settore nautico in Italia è una cosa importantissima per l’economia italiana e visto che ne ero dentro, ne sono appassionato, ho potuto assistere a questo calo, questo tracollo soprattutto dei cantieri. I cantieri sono andati in difficoltà in maniera pazzesca ed è stato negativo per tutti quelli che avevano le barche, chi le doveva comprare, anche quelli che le barche le avevano già. C’è stato un down importante. Una barca che magari usata valeva 500mila, però gli altri te la tiravano appresso a 200mila euro. E’ stato un danno evidente”.

Parliamo dell’aspetto ambientale: c’è qualche fumatore che getta la sigaretta in acqua o gente che va al largo per pulire i serbatoi…

“La prima è una cosa bruttissima, la seconda è una cosa che non si deve fare. Il mare va rispettato perché quello che subisce il mare, ce lo ritroviamo poi noi nel piatti ed in tutto. Quindi, sono veramente contrario a queste cose che vengono fatte. Plastiche, chi scarica in mare…”.

Se un cantiere nautico  ti chiamasse e ti chiedesse un equo scambio: la tua immagine in cambio di una barca, lo faresti?

“Subito, assolutamente sì”.


Questo articolo è dedicato a Gabriele. Sempre con noi.

Romano, giornalista e scrittore. Esperto nel settore della comunicazione e delle relazioni pubbliche, studioso di tutte le novità tecnologiche con una forte inclinazione per i numeri, il marketing e i digital media.

Latest from Insiders

TUTTI I TEMI DALLA A ALLA Z