Torniamo a parlare di smartworking, di lavoro 4.0 e del cambiamento che stiamo vivendo, dopo l’ultimo articolo dedicato (QUI) e raccogliendo un input da Filippo Poletti, LinkedIn Italia Top Voice ed esperto in Digital communications: “Manager delle reti, non più manager delle piramidi. Sono i nuovi capi: «La struttura delle organizzazioni non è più a piramide, ma a rete». A raccontarlo è Rullani Enzo, docente di economia della conoscenza alla Venice International University. «Il manager deve cambiare – aggiunge Paolo Iacci (docente di gestione delle risorse umane a Milano e presidente di Aidp Promotion) a colloquio con Rita Querzé sul supplemento Sette del Corriere della Sera –, abbandonare il ruolo di chi vigila su sottoposti a portata di sguardo e passare all’organizzazione, coordinamento e motivazione di persone che stanno lavorando a distanza». Reti allargate, dunque, non piramidi.
Reti allargate, non piramidi
Un nuovo paradigma si fa largo in questa nuova era pandemica che si protrarrà certamente, così dicono gli analisti, in quella fase “post” in cui tutto ciò che stiamo seminando oggi verrà raccolto. Speriamo il meglio, i frutti migliori e più sani di un periodo che di cambiamenti, ma anche sconvolgimenti, ne sta portano a profusione.
“La crisi della carriera tradizionale nasce con la fine del modello fordista anni ’80. A chi cresce di livello nel suo settore le aziende preferiscono figure che ripartano cambiando da un’area all’altra”, introduce così Il Corriere della Sera, il suo pezzo legato al nuovo bisogno di condivisione nel network lavorativo. Continua: “È come se parte del rischio legato all’attività d’impresa si fosse trasferito sul dipendente stesso. Trasformandolo in una figura a metà tra il dipendente vecchia maniera e l’autonomo. Sempre pronto (o talvolta costretto) a cambiare “padrone” a seconda delle pulsioni del mercato.”
Ora, l’opportunità del vecchio dipendente è quello di cogliere gli incentivi nell’essere il nuovo professionista a tutto vantaggio di una crescita personale e professionale. “La carriera si fa sempre più in orizzontale, salendo e scendendo, e alla fine ritrovandosi sempre con più esperienza e nuove competenze”, osserva il presidente di Cida, la confederazione dei dirigenti d’azienda, Mario Mantovani.
Smartworking era
In prospettiva lo smartworking non farà che accelerare questo processo” continua Rita Querzè su Il Corriere: “la natura di questo modo di lavorare, infatti, non sta tanto nel trovarsi a casa invece che in azienda ma nella possibilità che viene data al dipendente di autogestirsi e auto-organizzarsi in funzione di obiettivi concordati.” Il modello a rete diventa quindi il paradigma della nuova amministrazione efficiente in un periodo che vede una veloce trasformazione del lavoro, che ne decentralizza gli spazi e che affida almeno parzialmente al dipendente una responsabilità finora mai avuta: quella di gestirsi e di lavorare su progetti con precise scadenze.
In particolare, riscuotono nuovo e inaspettato successo quelle tipologie aziendali più operative in cui l’ideologia organizzativa viene realizzata su una struttura di legami e relazioni di tipo orizzontale, professionista in dialogo interdipendente con altri professionisti, quindi generalmente decentrata in singole unità dotate di forte autonomia, aventi possibilità e capacità di flessibile adattamento alle mutevoli condizioni esterne in cui, inoltre, il grado di coinvolgimento diventa esponenzialmente più elevato. Per rispondere a un momento di crisi, di fatto, stiamo inventando un concetto del tutto nuovo di lavoro. E visto che è solo di qualche giorno fa l’anniversario della scomparsa di Adriano Olivetti, l’imprenditore visionario che sognava un’azienda a misura d’uomo, vale la pena accostare questa tendenza al cambiamento di forma del management alle sue idee. Perché solamente se cogliamo il suggerimento di trasformare in senso più umano il lavoro, potremo cogliere un’opportunità, più che rispondere a una crisi.
Con Adriano Olivetti arriva soprattutto una nuova visione di impresa, basata sull’organizzazione decentrata del personale. L’industriale di Ivrea è un precursore del moderno welfare, sempre alla ricerca di un equilibrio tra profitto, democrazia e giustizia sociale. Gli operai Olivetti hanno salari superiori alla media, beneficiano di convenzioni per case e asili accanto alla fabbrica, hanno una biblioteca in azienda con libri da poter leggere durante le pause. «I servizi sono un dovere che deriva dalla responsabilità sociale dell’azienda» sostiene Adriano.
“La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica, giusto? (…) In fabbrica si tengono continuamente concerti, mostre, dibattiti. La biblioteca ha decine di migliaia di volumi e riviste di tutto il mondo. Alla Olivetti lavorano intellettuali, scrittori, artisti, alcuni con ruoli di vertice. La cultura qui ha molto valore”.
Ora chiediamoci: questa nuova trasformazione che sposta la gestione a livello orizzontale, in quale modo può essere colta dalle aziende per diventare ambienti di sinergia al servizio di questo nuovo tipo di personale? Se non ci serve più un luogo fisico di lavoro, quale mansione può e deve assolvere l’azienda se non, abbandonando lo spazio fisico, puntare a costruire uno spazio culturale?
“Il manager deve cambiare”, annota Paolo Iacci, suggerendo che deve poter “abbandonare il ruolo di chi vigila su sottoposti a portata di sguardo e passare all’organizzazione, coordinamento e motivazione di persone che stanno lavorando a distanza”. Mi viene da suggerire che il modello deve essere quello suggerito da John Withmore, di coaching, che sposta su orientamento e guida la funzione di leadership, abbandonando definitivamente quello basato sul bastone e la carota.
Digitalizzare, sì grazie
“A stravolgere definitivamente il paradigma della carriera c’è anche la trasformazione epocale legata alla digitalizzazione (di cui anche lo smartworking è in qualche modo un effetto).”
Un nuovo report di McKinsey mostra che quasi tutte le organizzazioni, dalle aziende tradizionali alle startup, stanno riorientando i propri modelli di business per diventare più digitali, come conseguenza diretta dell’impatto del COVID-19. E proprio questo si incatena in un cambiamento epocale in cui la tecnologia può diventare protagonista nel restituire al lavoratore un tempo e uno spazio di lavoro di qualità. Ancora una volta non possiamo che citare startup come Borgo Office ed Everywhere TEW, che proprio grazie alla tecnologia riescono a spostare i nostri spazi di lavoro in contesti come antichi borghi o casali di campagna.
Enzo Rullani suggerisce che “con il tempo sempre più i lavori semplici e ripetitivi saranno svolti dalle macchine. È come se il manager/ generale di un’azienda/esercito a un certo punto scoprisse di non avere più sotto di sé una truppa di soldati semplici ma soltanto tanti sergenti e colonnelli. La struttura delle organizzazioni non è più a piramide ma a rete. Questo non significa che i generali non servano più. Ma cambia radicalmente la loro funzione”.
Infine, altro aspetto da valutare, digitalizzare porta a sposarsi di meno, influenzando i flussi dei lavoratori non solo tra città vicine, tra regioni, ma nel mondo, determinando una drastica riduzione del numero di persone che cambieranno Paese per trovare lavoro. La riduzione dei flussi migratori continuerà nel prossimo futuro controbilanciando il fenomeno da un aumento degli scambi di beni, servizi e conoscenze. A spostarsi sono le cose e le informazioni, non le persone, con ovvie conseguenze economiche tra contrazioni ed espansioni nei vari ambienti lavorativi che rischiano, quindi, di sconvolgere ulteriormente le identità professionali globali.