“Nessun vantaggio selettivo” in favore della filiale lussemburghese del gruppo Amazon“. Con questa motivazione la Corte di giustizia europea ha annullato l’ordine dell’Unione Europea che nel 2017 aveva imposto ad Amazon di pagare 250 milioni di euro di tasse non pagate.
Ha vinto Amazon. Almeno questa volta. Aprendo uno scenario o forse un “varco” nuovo per quei colossi che guadagnano miliardi ma spendono in tasse “zero”. Come può succedere? Il tribunale dell’Ue ha annullato la decisione del 2017 non a caso. Secondo i giudici le autorità di regolamentazione dell’Ue non sono riuscite a dimostrare che la società ha ottenuto un vantaggio illegale dai sistemi del Lussemburgo, e l’analisi presentata dalla Commissione Ue era “errata sotto diversi aspetti”. L’Ue ha già annunciato la volontà di fare ricorso, ma è evidente che la sentenza, almeno per ora, costituisce un duro colpo sia per la Commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, sia per l’intero impianto per l’equità di trattamento fiscale e di (non) aiuti di stato dell’Unione europea. Un colpo dal quale non è detto l’Ue riesca a rialzarsi in tempi brevi.
Secondo i giudici le autorità di regolamentazione dell’Ue non sono riuscite a dimostrare che la società ha ottenuto un vantaggio illegale dai sistemi del Lussemburgo, e l’analisi presentata dalla Commissione Ue era “errata sotto diversi aspetti”.
Ha vinto Amazon
Questo è quanto è accaduto. Il fatto che il tribunale del Lussemburgo, che poi è la corte suprema di tutte le corti supreme dell’Unione, la quale ha il potere, ad esempio, di decidere se la Uefa e la Fifa sono beneficiarie dei diritti economici televisivi, non ha avuto le armi adatte a contrastare quella che, almeno in superficie, è una resa ai colossi della New Economy.
Nel 2020 la filiale lussemburghese di Amazon, dove vengono convogliati i risultati delle divisioni Germania, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Polonia e Gran Bretagna, non ha pagato neppure un euro di tasse. Questo è quanto. La Corte di giustizia europea ha infatti annullato la decisione della Commissione Ue che ha dichiarato il trattamento fiscale ricevuto dal colosso dell’e-commerce nel Gran ducato negli ultimi 17 anni incompatibile con le regole del mercato interno. E’ noto che il Lussemburgo è uno stato fiscalmente generalmente generoso nei confronti delle multinazionali. Soprattutto è specializzato nel creare trattamenti fiscali “su misura”, concordando le condizioni caso per caso con le singole società che hanno caratteristiche ed esigenze diverse. Una pratica di cui è stato energico promotore l’ex primo ministro ed ex presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker.
Succede perché Amazon approfitta di una situazione fiscale “negativa” ottenuta attraverso investimenti miliardari, ma anche attraverso il sapiente utilizzo di paradisi fiscali per la locazione delle società del gruppo. In che modo, quindi, Amazon sta fuggendo dalle tasse? Un recente documento pubblico dice che:
“Abbiamo benefici fiscali relativi alle franchigie in eccesso basate su azioni e alle detrazioni di ammortamento accelerate utilizzate per ridurre il reddito imponibile degli Stati Uniti [e]. . . Al 31 dicembre 2018, il nostro riporto della perdita operativa netta federale era di circa $ 627 milioni e avevamo circa $ 1,4 miliardi di crediti d’imposta federali potenzialmente disponibili per compensare le passività fiscali future. ”
La società non fa niente di illegale, ma è molto abile a sfruttare la permissiva legislazione statunitense e i buchi di quella europea (in cui si discute della web tax), così da pagare pochissime tasse senza commettere reati. Quindi, da una parte sapiente “scaltrezza”, dall’altra palese impreparazione?
Il grafico sottostante mostra come a fronte di 11 miliardi di dollari di reddito tassabile negli USA nell’anno 2018, il valore delle imposte dovute “current provision“, è negativa per 129 milioni di dollari.
L’osservazione importante che possiamo ricavare da questi dati è che Amazon accumula moltissimi crediti fiscali che le permettono di coprire le imposte sui suoi redditi. Per esempio perdite deducibili, o crediti fiscali legati ad investimenti.
In ogni caso, per impostare un futuro più equo, dove i colossi dell’economia e del commercio, le multinazionali e le grandi fabbriche che sempre più si “robotizzano” togliendo di fatto lavoro manuale alle persone, dovrebbero poter pagare le giuste tasse per riportare equilibrio nelle economie dei vari Stati. Soldi che dovrebbero essere destinati a redditi universali, sussidi, welfare in genere. Un’economia basata su questo tipo di difformità può solo produrre nuovi poveri e il collasso di un sistema dove sempre meno persone avranno la forza economica di acquistare i prodotti venduti dalle grandi aziende. Insomma, ci perdono tutti.