di Virginia Rifilato –
Procuratore sportivo di grande levatura umana e professionale, Carlo Alberto Romiti è un professionista che si è letteralmente formato sul “campo”.
Dal 2020, insieme al team manageriale della LJ Sports Group, cura le relazioni esterne di un grandissimo atleta come Matteo Berrettini, primo finalista italiano nella storia di Wimbledon.
Dall’alto del suo incarico, Carlo Alberto Romiti dice di non amare le classificazioni tout-court: “Mi piace definirmi semplicemente una persona che lavora nello sport marketing. Non amo molto le “etichette” e penso che una persona sia quello che fa. Non a caso, da amante del cinema, una delle mie citazioni preferite si trova in un film, Batman Begins: “Non è tanto chi sei, quanto quello che fai che ti qualifica”.
Questa frase mi rispecchia molto e ritengo sia il segreto per crescere a qualsiasi età. Se vuoi migliorare devi fare il massimo per guadagnarti quello che ti spetta e per far sì che il tuo nome sia una garanzia di serietà e professionalità, indipendentemente da quale esso sia. Spero che le tante persone che ho conosciuto in questi anni pensino a me come una persona seria, onesta e preparata. Se così fosse,
questo sarebbe sicuramente un successo migliore di una “definizione professionale”.
La tua esperienza, come uomo e come professionista, nasce proprio sul campo da tennis: dapprima come giocatore, poi come maestro. Qual è stata la chiave di volta, infine, che ti ha dato la possibilità di diventare un procuratore sportivo, un manager che cura l’immagine e le relazioni esterne di atleti di altissimo livello con l’ambizione di accompagnarli nella strada verso il successo?
Il tennis giocato è stato parte della mia vita per molti anni. Iniziando a giocare quando avevo solo quattro anni, e avendo poi percorso una carriera agonistica, posso dire di aver passato molto tempo a colpire palline. Guardando a quella parte della mia vita, penso agli obiettivi che avevo e al fatto che per diversi motivi non sono stati raggiunti. Io personalmente credo di aver fallito nel mio progetto tennistico, ma di aver capito i perché di questo fallimento e di averne fatto un grande bagaglio di esperienze fondamentali per la mia vita.
Ho imparato, tra le tante cose, che in campo come nella vita sei da solo e nessuno ti regala nulla, ma che al tempo stesso per raggiungere dei successi devi lavorare assieme agli altri per renderti un professionista migliore.
Carlo Alberto Romiti
Quando ho deciso di smettere di giocare è stata una scelta giusta perché avevo già in mente quale sarebbe stato il percorso successivo. Volevo lavorare nello sport, ma costruirmi il mio percorso fuori dal campo nonostante il lavoro di maestro mi piacesse e fosse ben remunerato rispetto ai primi lavori post studio.
Le scelte che sono venute successivamente hanno sempre avuto l’obiettivo di imparare qualcosa in più, senza mai accontentarmi di un ruolo. Questo mi ha permesso di spaziare molto all’interno dello sport marketing e di averne ora una visione quasi completa. Sono infine arrivato a far parte di LJ Sports (la società di sport management fondata da Ivan Ljubicic, attuale allenatore di Roger Federer, ndr) e del team che gestisce un grande atleta come Matteo.
Un ruolo che sto imparando a capire e ad interpretare rispettando gli altri e soprattutto facendo emergere i valori a cui tengo nella vita e nel lavoro: rispetto, professionalità ed onestà.
Nel Novembre 2020 sei diventato il referente per il mercato italiano di Matteo Berrettini e della LJ Sports Group, e il 2021 si sta confermando un anno che ha riscritto la storia del tennis. Quali sono le sfide e gli impegni che ti trovi ad affrontare gestendo questo importante incarico?
Diciamo che l’incarico principale è legato alla gestione e lo sviluppo delle sponsorizzazioni di Matteo oltre alla continua connessione con il mondo della comunicazione sul mercato Italiano (giornali, TV, media, ecc.). L’attuale esperienza, di altissimo livello, era un tassello che mi mancava e che sto imparando a gestire giorno per giorno. Mi ero già occupato del mondo delle sponsorizzazioni in passato, ma lavorare attorno a un profilo come quello di Matteo ti obbliga ad alzare l’asticella sotto tutti i punti di vista. Come potete immaginare parliamo di un settore che sta vivendo momenti di difficoltà a tutti i livelli a causa dalla crisi pandemica, la quale ha bloccato tanti progetti.
Le aziende hanno giustamente grandi timori e poche certezze sul futuro, e questo non rende nulla facile. Credo però che per ottenere risultati bisogna avere le idee chiare su qual è il profilo che stai rappresentando e quali sono le aziende e i settori che pensi si possano ben affiancare ad esso. Contestualmente devi trovare dall’altra parte persone ed aziende che vedano quello che vedi tu, e costruire un rapporto solido che ti permetta di lavorare a quattro mani sul
progetto. Un atleta come Matteo è a tutti gli effetti un brand internazionale e fare scelte particolari può spesso portare ad un posizionamento sbagliato e ad una percezione errata della persona, ancor prima che del giocatore.
Un altro aspetto importante del mio lavoro è quello di far conoscere al mondo le qualità di Matteo. Tutti conoscono le sue qualità tennistiche, ma per nostra fortuna c’è molto di più e abbiamo il grande vantaggio di rappresentare un ragazzo giovane, intelligente, serio, educato e molto attento (oltre che molto bello). Tutte queste qualità stanno pian piano uscendo e sono sicuro che ci permetteranno di raggiungere risultati importanti per il suo futuro. I risultati di Matteo ci hanno dato una grande mano al riguardo, ma stavamo già lavorando da molti mesi su un maggiore coinvolgimento del suo profilo in attività e interviste che facessero emergere le sue qualità nascoste.
Infine spero che con una situazione pandemica risolta potrò occuparmi anche di tutta la parte on the road e di poter quindi viaggiare assieme a Matteo ed al team durante i tornei. Questo aspetto è fondamentale per costruire un rapporto di reciproca stima con l’atleta e il suo staff tecnico, cosa che oggi ovviamente è difficile sviluppare da remoto. Le call ci hanno salvato lo scorso anno durante il primo lockdown, ma credo fortemente nel valore dei rapporti umani di persona e spero quindi di esserci messi alle spalle il lavoro da remoto e digitale al 100%.
Nella tua carriera sei stato anche manager per la Babolat e hai lavorato con un’agenzia di comunicazione. Cosa hanno rappresentato per te queste esperienze e in che modo hanno contribuito a farti diventare il professionista che sei oggi?
L’esperienza in Babolat arrivava dopo cinque anni di lavoro all’interno di un grande circolo di tennis dove ero responsabile del marketing, della comunicazione e degli eventi. Proprio in quel contesto ho conosciuto lavorativamente Babolat e ho avuto l’abilità di costruire un rapporto di fiducia professionale tale da essere scelto poi come trade marketing manager Italia per oltre tre anni. In Babolat ho imparato moltissimo e per la prima volta mi sono realmente confrontato con un contesto aziendale multinazionale.
Ho avuto la fortuna di poter affiancare un grande country manager che è stato una guida per me. Il mio ruolo era un
misto di attività nell’ambito dello sport marketing che spaziavano dalla cosa più strategicamente importante per l’azienda a quella più futile. Era un ruolo che non aveva mai pause e che necessitava uno sforzo senza pari. Di fatto ogni persona in Italia che voleva qualcosa da Babolat, sotto forma di sponsorizzazione economica o in materiale, sapeva di dover parlare con me. Questo mi ha portato ad un confronto continuo con migliaia di persone e spesso non è stato facile gestire questa marea di richieste.
L’esperienza all’interno di un’agenzia di comunicazione mi ha permesso invece di lavorare meglio assieme ad altre persone e soprattutto di imparare a gestire delle tempistiche caotiche con le scadenze prefissate. Era come essere dentro una centrifuga: un continuo tentativo di fare tutto come se fossi sempre in ritardo sulle consegne, anche quando non era così. Inoltre ogni giorno scoprivo settori e progetti profondamente diversi tra loro e questo mi ha permesso di ampliare le mie competenze anche in settori non sportivi.
Durante il tuo percorso ti è capitato di incontrare atleti che amavi particolarmente o che ti hanno profondamente colpito per le loro vicende personali?
Ho avuto la fortuna di conoscere grandi campioni dello sport che erano anche miei idoli, ma difficilmente ho avuto la possibilità di comprendere che persone fossero. In questi casi c’è sempre il rischio di rimanere delusi da quello che si trova al di là del grande sportivo. Un po’ come quando sei abituato a sentire il tuo attore preferito in un film ben doppiato in Italiano e poi scopri che la sua voce reale è totalmente diversa.
Per quanto riguarda le mie preferenze sportive posso dire che anche solo stringere la mano a Federer, Baggio e Ronaldo (il “Fenomeno”) mi ha fatto davvero tremare le gambe. In tutta onestà, tralasciando il contesto sportivo, accompagnando Matteo a Palazzo Chigi per le celebrazioni post Wimbledon avrei voluto stringere la mano anche al Presidente Draghi per cui nutro una enorme ammirazione, ma ho preferito continuare ad essere “l’uomo ombra” di Matteo e lasciare ogni emozione personale fuori da quella giornata speciale. Spero che ci potranno essere altre opportunità per farlo.
Nel rivoluzionario manuale di Timothy Gallwey “Il gioco interiore nel tennis” si evidenzia l’importanza che ha il “gioco interiore” nella buona riuscita del proprio gioco, di una partita o di un torneo. In ogni incontro infatti si giocano due partite: una esteriore e una interiore. Nella prima si sfida l’altro giocatore, mentre la seconda ha luogo dentro la propria mente e gli avversari sono il dubbio, l’insicurezza, l’ansia e il conseguente calo di concentrazione. Cosa ne pensi e quanto è difficile per te, sia come giocatore di tennis che come manager, rendere effettivo questo insegnamento e trasmetterlo ai tuoi clienti?
Il tennis è uno sport complesso sotto molti punti di vista e l’aspetto mentale è fondamentale. Come detto in precedenza io so perché “non sono arrivato” e tra i tanti motivi c’è stata sicuramente una difficile gestione della concentrazione e delle emozioni. Purtroppo ti accorgi tardi di quello che ti serve e per questo è fondamentale avere l’abilità e la fortuna di avere attorno a te un team preparato a gestire tutti gli aspetti della tua crescita.
Il problema grande è che tutto ciò lo devi gestire in una età in cui normalmente dovresti solo pensare a crescere, studiare e divertirti.
Io credo che per diventare un giocatore professionista (per me vuol dire colui che riesce a vivere e guadagnare di tennis e io quindi non ho fatto parte di questa categoria) ci sono almeno tre “treni” da prendere:
il primo è quando hai poco più di 8-9 anni e devi scegliere se giocare per fare sport o se vuoi iniziare a fare tornei; il secondo quando hai 13-14 anni e se vuoi iniziare a pensare in grande devi dedicare molto tempo al tennis andando a rinunciare a buona parte della vita di un adolescente normale; il terzo verso i 17-18 anni quando se il tuo livello te lo consente devi decidere di giocare ovunque nel mondo per “sporcarti le mani”.
Attorno a questi tre treni ci sono tantissimi aspetti da seguire: la tecnica, la tattica, la concentrazione, la parte fisica ecc., il tutto portando avanti gli altri fattori importanti della vita: l’istruzione, la famiglia, gli amici e il divertimento. E spesso fare tutto ciò non basta.
Come tradurre tutto ciò nella vita “normale”?
Non sono sicuro di avere una risposta corretta, ma posso dire che nel lavoro per me è fondamentale: programmare, comprendere, eseguire, migliorare, valutare l’opinione degli altri, visionare gli esempi passati, ipotizzare scenari diversi e tante altre piccole cose. Credo che il mio approccio al lavoro sia anche parte di questa “traduzione” dal campo da tennis e per questo posso affermare di aver appreso qualcosa dall’esperienza sportiva. Matteo non ha bisogno di questi insegnamenti perché ha fatto tutto alla perfezione assieme al suo team, e i risultati sono evidenti.
Sicuramente cercherò di trasmettere questi valori a mio figlio, che oggi ha due anni, qualsiasi sarà il suo percorso di vita.
Hai già in mente il tuo prossimo traguardo professionale o hai altri sogni che vorresti realizzare?
Quando diventi genitore la percezione del tuo futuro lavorativo e privato cambia radicalmente e le scelte che pensi di dover fare sono legate ad una persona in più che ti cambia la vita totalmente (in meglio). Detto ciò, quando ho deciso di uscire da Babolat l’idea era quella di crearmi un percorso come imprenditore di me stesso.
L’esperienza con LJ e Matteo sarà fondamentale per aggiungere esperienze a questo livello e soprattutto per raggiungere i risultati che tutti noi ci aspettiamo. Far parte del suo team in questo momento così importante nella sua vita sarà un grande impegno anche per il futuro. Per quanto riguarda i sogni non ne ho di particolari, anche perché caratterialmente sono una persona molto realista.
Potrò sembrare banale, ma dopo tutto quello che abbiamo vissuto durante questa crisi pandemica quello che mi renderebbe davvero felice sarebbe poter vivere un mondo migliore, e soprattutto permettere ai giovani di costruirsi il proprio percorso senza ostacoli o avvenimenti difficili come quelli vissuti in questi anni. A volte rifletto sul fatto che da quando ho iniziato a lavorare (circa quindici anni fa) ci sono state crisi finanziarie, terroristiche, pandemiche, economiche, il tutto cadenzato ogni tot anni. L’instabilità e l’incertezza hanno fatto parte della mia vita lavorativa fin dal suo inizio.
Mi piacerebbe consegnare un mondo diverso alle persone più giovani di me e aiutarle affinché il raggiungimento dei loro obiettivi possa essere più naturale. Ho grande fiducia nei giovani e spero di poterli aiutare anche grazie al mio lavoro. Credo che anche per uno poco abituato a sognare, questo possa essere un sogno da realizzare per il futuro!