«Chi parla male pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste. Le parole sono importanti». Così Nanni Moretti nel film “Palombella Rossa”. E sull’importanza delle parole in Italia abbiamo una “Vera” esperta.
La sociolinguista Vera Gheno è autrice dei libri “Le ragioni del dubbio. L’arte di usare le parole“, “Guida pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi)”, “Social-linguistica”, “Potere alle parole“, “Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole“.
Vera sarà presente al festival di antropologia Dialoghi sull’uomo (24-26 settembre) – al teatro Bolognini di Pistoia – in un doppio appuntamento domenica 26 settembre, alle 15.15 e alle 17.30. L’incontro, dal titolo emblematico, Nuovi orizzonti linguistici per superare i confini, sarà l’occasione per parlare… di cosa?
Complessità sociale
Attraverso l’analisi linguistica proposta dalla relatrice, si indagherà sulla complessità con cui si sta evolvendo la società nell’ultimo decennio: la globalizzazione e Internet hanno accorciato le distanze e, di conseguenza, l’incontro con le differenze – esperienza prima eccezionale e saltuaria – è diventato parte della quotidianità di ciascuno di noi.
La nostra società, nell’ultimo decennio, sta divenendo sempre più complessa. Ma l’essere umano non è programmato per accettare tutto questo con serenità: istintivamente, infatti, vive la novità e l’alterità come minacce alla sua esistenza. Di conseguenza, si avverte la necessità di passare da una visione “normocentrica” della società, in cui la diversità viene vissuta come una minaccia e una devianza, a una più pacifica di “convivenza delle differenze”. Parte di questo processo avviene a livello linguistico, tramite la nominazione corretta e rispettosa delle diversità e un uso più attento delle parole – che non sono mai solo parole, ma “ganci verso grappoli di significati” – andando oltre le proprie abitudini di sempre.
Un’era linguisticamente frizzante
In una recente intervista Vera Gheno sottolineava: “Per quanto mi riguarda, stiamo vivendo un periodo linguisticamente molto frizzante; e tale “frizzantezza” è legata a sommovimenti sociali e culturali in atto. Continuo a pensare che la lingua la facciano i parlanti. Alcuni colleghi preferiscono specificare che hanno più rilevanza, nel provocare cambiamenti linguistici, i parlanti colti; è probabile che sia così, ma pure i parlanti colti devono tenere conto di cosa succede tra i parlanti “non colti.”
Sociolinguista per passione, Vera Gheno da anni si batte per un linguaggio usato “meglio”, più lucido, illuminante, inclusivo partendo dal presupposto che “ciò che può essere nominato con precisione si vede meglio”.
D’altronde la capacità del dare nome alle cose fa parte di noi, è legata a doppio nodo al nostro essere umani, tessuto insieme alla nostra evoluzione, perfino alla nostra creazione. Ricordiamoci di quel passo della Bibbia in cui Dio suggerì ad Adamo di dare nome alle cose di questo mondo, per distinguerle e ordinarle. Dio stesso creò “nominando”, dicendo “Sia la luce” e la luce fu, chiamando il firmamento “Cielo” per separare la notte e il giorno, chiamando l’asciutto “Terra” e la raccolta delle acque “Mari”.
Insomma, il nominare non è solamente un atto creativo, ma un atto divino. Magico, visto che è proprio dando il giusto nome alle cose che possiamo distinguerle, pesarle, comprenderle, comunicarle tra noi. Platone, lo sappiamo, riteneva che il linguaggio ha proprio questa funzione: essere strumento di condivisione tra gli uomini, di quanto questi conoscono e su quanto esiste.
Usare bene le parole: due domande a Vera Gheno
Ultimamente, anche se è diventato “tecnicamente più facile stabilire e mantenere connessioni con persone anche fisicamente lontane, non per questo è diventato più semplice comunicare”, sottolinea Vera a cui abbiamo chiesto di approfondire due aspetti che riguardano più da vicino InsideMagazine, quotidiano che racconta il mondo della Web Economy.
Vera, cosa significa comunicare in un mondo sempre più veloce e digitale dove la ricerca di un’identità incoraggia a cercare narrazioni più personali e originali?
Secondo me comunicare vuol dire sempre la stessa cosa, cioè prima di tutto definirsi agli occhi propri e degli altri e nominare il mondo per comprenderlo, dopodiché mettere queste esperienze in comune (non a caso, nella radice della parola c’è il termine latino communis ‘comune’). Quello che cambia è lo scenario cognitivo nel quale comunichiamo, infinitamente più complesso di una volta in termini, soprattutto, di continuo incontro con la diversità. Credo che sia più difficile “mettere in comune” con persone con le quali si ha meno “in comune”, per questo a ogni persona viene richiesto uno sforzo aggiuntivo per far funzionare, appunto, la comunicazione.
Per quanto riguarda la velocità, io penso che sia un po’ un falso mito. La comunicazione digitale è senz’altro più veloce nel passare il messaggio da A a B, ma la velocità del mezzo non dovrebbe influire sul momento in cui decodifichiamo e codifichiamo un messaggio. Viste le gravissime conseguenze che possono avere le nostre parole, meglio prendersi il tempo che ci serve.
Come usiamo le parole? E, soprattutto, ci insegnano a usarle nel modo giusto o si potrebbe far meglio?
Spesso le usiamo con leggerezza, senza pensare fino in fondo alle conseguenze dei nostri gesti comunicativi. Ma del resto, a scuola si studia ancora poca comunicazione, poca pratica, e ci si sofferma soprattutto sulla teoria. Ci viene insegnata la norma, ma non ci si sofferma sul suo uso. Quindi sì, si potrebbe fare meglio eccome! Non a caso, sto scrivendo, assieme a colleghi che stimo, una grammatica che vorrebbe tenere conto anche di tutte le nuove conoscenze di cui, a mio avviso, abbiamo collettivamente bisogno.
Il linguaggio crea la realtà
Possiamo imparare a usare meglio il nostro linguaggio, per definire e definirci meglio. Per metterci in comune e, appunto, comunicarci. D’altronde il linguaggio ha una funzione preziosissima per noi, mi riferisco al suo carattere generativo e a “come il linguaggio crea la realtà“.
Le nostre concezioni dello spazio e del tempo, ad esempio, avvengono per mezzo delle parole, il nostro modo di guardare ai colori, alle forme, ai numeri come alle quantità. A seconda del popolo che studiamo, scopriamo che la parola ne invade la cultura e che la cultura determina il linguaggio, e viceversa. Il tipo di linguaggio determina il modo che un popolo ha di sentire e di vedere le cose, di rapportarsi, muoversi, capire, concepire, condividere. Il Professor Chomsky, racconta Vera in un suo TedX speech, ha detto “la lingua è la caratteristica nucleare che ci rende esseri umani.”
Il punto di vista di Vera Gheno è che “a noi, serve la lingua per descrivere ciò che ci circonda. E siccome la realtà cambia di continuo, è in evoluzione perenne, anche la lingua cambia di continuo. Non è detto che questo ci piaccia, ma la lingua ci serve per comunicare fra di noi, per definire la nostra tribù. Noi pensiamo di essere andati avanti rispetto all’approccio tribale alla comunicazione, “ma così non è, siamo ancora estremamente tribali come esseri umani”. Sì, perché grazie alla lingua possiamo capire chi siamo in confronto agli altri e stabilire se sono o non sono come noi. Far parte della stessa “tribù” è importante perché in questa appartenenza, individuare gli “altri” ci serve per individuare noi stessi, capirci, scoprirci anche. E’ qualcosa di molto sottile, importante, responsabilizzante questa del linguaggio.
“Ogni parola che usiamo è letteralmente un atto di identità. Cioè, mentre parlo, io dico agli altri chi sono, faccio una dichiarazione”, sottolinea Vera.
John Searle, professore di filosofia all’Università della California, a Berkeley, noto per i suoi contributi alla filosofia del linguaggio, dice: “Non è possibile pensare con chiarezza, se non si è capaci di parlare e scrivere con chiarezza.” In questa frase è racchiusa tutta la fondamentale missione del linguaggio che è il modo che abbiamo di prendere ciò che è dentro e trasportarlo fuori, per donarlo agli altri e per affermare noi stessi. In ogni modo, in questo continuo scambio, evolviamo l’un l’altro in forme nuove. Creiamo e ricreiamo il rapporto con ciò che ci circonda. Ed oggi, nell’era della comunicazione globale e istantanea, che ci permette di scrivere una frase e condividerla l’istante successivo con il mondo intero, di trasmetterci in una foto, in un video, di parlare superando le barriere dello spazio e del tempo, ritornare ad assumersi la responsabilità delle parole che usiamo, è davvero qualcosa di notevole importanza.