Nella Rubrica curata da Anurag Gaeta parliamo di scienza al servizio delle Costellazioni Sistemiche in azienda.
Negli ultimi decenni, il metodo delle costellazioni organizzative sistemiche (SOC) si è diffuso in tutto il mondo ed è diventato sempre più comunemente utilizzato tra i consulenti in diverse aziende e contesti organizzativi. Le costellazioni organizzative sistemiche mirano a rendere gli individui più consapevoli del loro contesto sociale e consentono loro di esplorare prospettive diverse dalle proprie su organizzazioni, team o qualsiasi gruppo di persone. Per questo motivo, il metodo è attualmente utilizzato, tra gli altri, per il team coaching, i processi di cambiamento e trasformazione organizzativa, lo sviluppo della leadership e l’analisi degli stakeholder (Kopp e Martinuzzi 2013).
La scienza scopre il “sistema”
Nonostante l’uso diffuso del metodo delle Costellazioni Sistemiche Organizzative, è ancora in gran parte assente una prospettiva scientifica sui suoi funzionamenti di base e sui suoi effetti in relazione ai risultati del team o dell’organizzazione. Nonostante questo, committenti, consulenti, coach e partecipanti che utilizzano il metodo, rimangono in una certa misura sbalorditi per la sua evidente e straordinaria qualità ed utilità La mancanza di informazioni quantitative sull’efficacia ostacola però l’implementazione di un metodo potenzialmente utile (ad esempio, nell’istruzione regolare) a livello globale. La giovinezza del metodo e la conseguente scarsità di informazioni limita certamente un suo sviluppo istituzionale e viene guardato con apertura ma anche diffidenza.
Eppure, le teorie scientifiche odierne, nei vari campi, sembrano essere mature per giustificare l’efficacia di un approccio sistemico all’analisi di gruppi e organizzazioni. Partiamo dalla fisica quantistica, oggi alla base del funzionamento di molte tecnologie comunemente usate, dal laser ai computer, in grado di spiegare alcuni fenomeni presenti anche nel metodo SOC.
La fisica dell’osservatore
Uno dei capisaldi più sottili e controintuitivi della meccanica quantistica, di quelli che mettevano a disagio perfino Albert Einstein, è legato al rapporto tra osservatore e oggetto osservato, secondo cui il processo di misura – e con esso l’osservatore che la compie – non è in alcun modo scindibile dall’oggetto misurato.
La complessa relazione tra osservabile, processo di misura e osservatore è stata a lungo oggetto di dibattito nella comunità scientifica e ha dato luogo, nella storia, a diverse interpretazioni – la prima delle quali, e la più famosa, è stata la cosiddetta interpretazione di Copenaghen, formulata a metà degli anni cinquanta a partire dai lavori di Niels Bohr e Werner Heisenberg. Secondo l’interpretazione di Copenaghen, domande come “dov’è una particella quantistica prima di misurarne la posizione” sono prive di senso, in quanto, per l’appunto, la posizione di una particella non è determinata finché non la si misura e anzi, ancora una volta, il processo di misura concorre a determinarla.
Prima di essere determinata la posizione di una particella, questa appare come un’onda, ovvero come una probabilità ancora non decaduta nella realtà e, solo dopo l’osservazione, si mostrerà come corpuscolo. E’ nella sua interpretazione che l’osservatore quindi agisce sul “collasso della funzione d’onda” determinando il comportamento effettivo del sistema osservato. Facendole, cioè, acquisire un peso e una posizione. Questioni come la realtà che ci circonda, o come il sistema di elementi “sottili” che la formano, sono quindi determinate dall’osservazione delle stesse e dall’interpretazione di chi si pone alla sua comprensione.
l’argomento è interessante vero?
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