RUBRICA – “Il Sistema Azienda” –
Ciao, mi chiamo Anurag Gaeta, ideatore del metodo No-Effort Management (NOEM) dedicato a imprenditori, CEO, manager e professionisti che devono risolvere conflitti, sbloccare progetti e ottenere chiarezza. Lo faccio con metodi all’avanguardia: le Costellazioni Sistemiche Aziendali e il Zen Mindfulness.
Quando gestisco i programmi di formazione in Coaching Sistemico e Leadership Sistemica nell’Academy di No Effort Management (Gestione Senza Sforzo), faccio spesso riferimento ad alcuni tips fondamentali per fare in modo che alcune nozioni rimangano davvero nella mente delle persone. Queste aree richiedono di guardare in modo completamente nuovo allo sviluppo del team aziendale.
Coaching Sistemico e Leadership Sistemica
I consigli di cui parlerò in questo articolo sintetizzano gli argomenti che tratto nella mia rubrica qui su InsideMagazine, dedicata alle Costellazioni Sistemiche Manageriali come metodo di analisi e cura aziendale, da cui possiamo trarre alcune conclusioni interessanti per il lettore che si sta approcciando per la prima volta a questo ambiente di lavoro.
Di seguito, dunque, riassumo i 10 migliori suggerimenti che conto troverà utile chiunque si occupi di aiutare i team a svilupparsi.
Iniziamo da qui: il focus è sempre sul sistema
Tradizionalmente, l’executive coaching è impostato a costruire un insieme di attività per consolidare la leadership di manager e dirigenti, attraverso un percorso di crescita della consapevolezza personale.
Noi agiamo in modo alternativo: sviluppiamo consapevolezza inter-personale. Guardiamo, cioè al sistema e non ad un solo elemento del sistema per volta.
Potremmo definirla conapevolezza sistemica.
2. Progetta e preparati sul percorso, ma in ogni sessione sentiti libero e fluido e pronto ad abbandonare i tuoi programmi attento a ciò che emerge e a seguire il flusso.
3. La squadra non crea lo scopo, lo scopo crea la squadra
La migliore ricerca sui team efficaci mostra che l’elemento più importante è scoprire cosa accomuna davvero un team. Domandiamo e domandiamoci: qual è lo scopo di questa squadra? Ma la cosa vale anche se si sta lavorando in sessioni individuali: dobbiamo connettere le persone con cui stiamo lavorando allo scopo dello stare insieme, facendogli comprendere che esso è l’elemento collante e che le relazioni devono costruirsi intorno allo scopo.
Il coach sistemico aiuta i coachee a riscoprire il loro scopo. Lo scopo è già là, da qualche parte, nel sistema, si trova nelle esigenze attuali del cliente e, sembra banale, ma nella mia esperienza si dimentica spesso la ragione per cui si è chiamati ad un certo ruolo.
Ecco, se posso riassumere la mia attività in una frase è proprio questa: aiutare le persone a ritrovare il senso dell’azione condivisa.
4. Davvero su misura
L’azione del coach sistemico non è impositiva. Questo significa che non imponiamo modelli precostituiti o percorsi di crescita preparati a tavolino e inoculati al cliente come scienza infusa. Non conosciamo ex ante le soluzioni, nè ci arriviamo prima dei clienti stessi. Non orientiamo, facciamo emergere soluzioni. Non indichiamo la via! Facciamo emergere dove porterebbero certe dinamiche di relazione insite nel sistema e quali correttivi apportare per mutare la rotta. Tutto questo avviene attraverso un processo creativo: stimoliamo la creatività del cliente.
Cosa succede, infatti, quando si è creativi? Che si prendono vecchi tasselli – che usiamo accostare allo stesso modo da sempre, formando solite costruzioni – questa volta gestendoli in modo nuovo, imprevisto, scoprendo forme innovative alternative. Questo passaggio ha bisogno di disponibilità e di apertura. E il bello è che le nuove visioni si costruiscono in poco tempo, frutto di intuizioni. Si scopre qualcosa che era già lì, in nuce. Qualcosa che era già nel sistema e che doveva essere rivelato.
5. Inquadrare la sfida ispira la risposta
Sia i leader che i coach quando lavorano con me spesso passano dallo stile del “raccontare”, o peggio, del dettare direttivo, allo stile del “chiedere” stimolante. I team coach sistemici, siano essi leader che allenano la propria squadra o coach esterni, aiutano a inquadrare la sfida collettiva e quindi orchestrano e consentono al team di rispondere in modo creativo e collaborativo.
In questo consiste, se ci pensiamo, il processo di educazione. Educere significa tirar fuori. Un processo che avviene stimolando dal di dentro e non imponendo dal di fuori.
6. Il sogno del leader e le tendenze del sistema
Ogni leader immagina un risultato o un obiettivo. Si attrezza, organizza e studia il percorso. Cosa se ne fa di un coach sistemico? Ne ha bisogno perché il coach sistemico ha gli strumenti per verificare se il suo progetto è un sogno o un seme, gli può far vedere ciò che il suo occhio non vede: se la disposizione delle forze in campo è quella giusta e quali correttivi può introdurre per rendere il suo sogno realtà.
7. Definisci lo scopo della sessione, ma non restarne schiavo.
Ogni sessione di coaching inizia con alcuni desideri del cliente dichiarati: “questo è ciò che intendo raggiungere”. Certo, cosa ci pagherebbe a fare il cliente? Ma non è come nel coaching classico. Le domande sono le solite: “di cosa ho bisogno il cliente per arrivarci?”, “cosa gli sta impedendo adesso di riuscirci?”. Ma l’approccio allo scioglimento di questi due nodi è totalmente diverso: bisogna portare il cliente a riconoscere ciò che è sotto il suo naso e che non vede. Quindi, prima bisogna capire ciò che non vede e questo può farlo solo la costellazione sistemica. Neanche il coach con la sua esperienza. Ecco perché si parla di costellazioni sistemiche come strumenti fenomenologici.
8. Resta dietro le quinte: sei all’ultimo posto!
I coach cadono spesso nella trappola di sentirsi i salvatori e artefici del cambiamento. In realtà deve mettersi l’ego in saccoccia e svolgere un ruolo di servizio vero. Un buon Team Coach Sistemico non diventa la figura più importante sul palco. I protagonisti sono le persone che ogni giorno affrontano la vita vera del loro lavoro.
Il coach sistemico li sostiene, non li giudica. A volte, sì, li sfida, ma principalmente li supporta mostrando il contributo che ognuno dà alla cultura, alla prassi e come ognuno può essere agente di cambiamento senza aspettare che sia qualcun altro a produrlo. Li spinge a parlare, ad affrontarsi, a discutere in modo fresco ogni volta, abituandoli all’idea che il passato non esiste, o meglio deve esistere come abilità e non come abitudine.
Creare un “sistema” nuovo e più funzionale passa soprattutto da qui.
9. Allena le connessioni (interne ed esterne), non le persone
Direi che questo è il punto nevralgico dell’intervento di un Coach Sistemico, che lo distingue da un executive coaching vecchio stile: evitare quando possibile di istruire le persone, concentrarsi invece sulle connessioni tra queste e tra queste e gli stakeholder. La comunicazione è il centro del nostro lavoro come Coach Sistemici, ovvero “l’azione di mettere in comune”.
Questo significa, in estrema sintesi, individuare il conflitto o il problema in una connessione/relazione, non in una persona o parte del sistema. La prima regola in un conflitto, infatti, è individuare il problema non in un luogo dato, come succede quando si cerca il capro espiatorio. Non cerchiamo mai colpevoli, come non cerchiamo “colli di bottiglia” in una catena di montaggio, ma individuiamo in quale modo è possibile fluidificare la connessione tra questi e il resto del sistema.
Da qui la regola: non c’è niente come un capo impossibile, un membro del team difficile, una squadra non allenabile, ma solo una modalità di coinvolgimento che non abbiamo ancora trovato.
Mi si controbatte spesso che questo potrebbe non essere vero. Ma riflettiamo su un dato: come è stato possibile creare un sistema che ha prodotto un capo impossibile, o un team in conflitto, è possibile anche smontarne le basi e dare vita a nuove vicende virtuose capaci di ricostruire capi possibili e team in armonia e vincenti. Non si tratta solamente di invertire processi, ma di crearne di nuovi e funzionanti in quello specifico ambiente.
10. Divertiti, sii creativo
Il Coaching Sistemico dà il meglio di sé quando la squadra e il coach si divertono, e anche quando entrambi sanno che stanno affrontando le sfide importanti per il loro rilancio. Quando applichiamo il divertimento al processo di coaching riusciamo improvvisamente a essere creativi. Sgonfiamo subito gli spessi muri della crisi, gli togliamo importanza, per restituirla al campo delle soluzioni. Questo significa creare valore condiviso per gli altri e per se stessi.
Quando ci divertiamo inneschiamo subito un netto processo inibitorio nella produzione di cortisolo, ormone protagonista dello scompenso omeostatico che rientra nella definizione fisiologica di stress. Quando siamo stressati siamo meno reattivi, siamo più rigidi e troviamo molte meno alternative tra le infinite possibili. Quindi, ricordiamo e ricordiamoci di divertirci.
E’ giocando ad essere leader, e poi giocando noi stessi a essere coach, che si diventa buoni leader e buoni coach.