L’articolo su The Vision porta l’attenzione su una situazione di precarietà ormai consolidata che, invece di migliorare in qualche modo, grazie magari ad una politica lucida che scopre soluzioni innovative, regredisce fino a raggiungere i fondali salati del dramma. L’articolo a firma di Jennifer Guerra, inizia così:
“C’è un meme che descrive alla perfezione il modo in cui si sente la maggior parte dei venti-trentenni di oggi: in alto vediamo i nostri genitori che alla nostra stessa età comprano una seconda casa in cui sperano ci sia spazio per entrambe le loro auto; in basso noi, che dopo aver comprato una confezione di pane e una di latte, dubitiamo che le nostre finanze saranno mai in grado di risollevarsi da questa spesa.
Il meme racconta purtroppo una realtà molto comune: la nostra generazione, infatti, non può nemmeno lontanamente immaginare di riuscire a possedere la stessa ricchezza di quella dei nostri genitori e ancor meno – sempre in potenza – quella dei nostri nonni alla nostra età. In effetti, i millennial non solo sono una delle generazioni più povere della storia, ma guadagnano molto meno rispetto ai loro predecessori, ribaltando il meccanismo di crescita che fino ad ora è sempre stato presente. In Italia, poi, la situazione è ancora più preoccupante: i nati dopo il 1986 hanno il reddito pro capite più basso della storia italiana e un quarantenne di oggi possiede un reddito annuo di 10mila euro inferiore rispetto a un quarantenne nato tra il 1946 e il 1965.
Questi dati, anziché allarmare la classe politica e l’opinione pubblica, sono però accompagnati da una retorica colpevolizzante nei confronti delle nuove generazioni, accusate a più riprese di essere pigre, choosy e bamboccione. L’ultimo capitolo della saga sono le numerose interviste agli imprenditori – specie nel settore della ristorazione – che non trovano più nessuno da assumere “perché i giovani dopo il Covid hanno perso la voglia di lavorare”.
Non solo ci si dovrebbe chiedere chi vuole lavorare per uno stipendio da fame, con orari e turni lunghissimi e senza alcuna tutela contrattuale, ma anche come sia possibile che in Italia i salari non siano nemmeno rimasti uguali, ma addirittura diminuiti rispetto al 1990. Questo è il risultato di una ricerca di OpenPolis nei Paesi europei Ocse, che ha rivelato come la nostra sia l’unica nazione che tra il 1990 e il 2020 che ha avuto una decrescita nei salari annuali medi, pari al -2,9%. Un risultato imbarazzante
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