Regista teatrale e interprete di grande carisma, Marcello Amici è in scena insieme alla sua compagnia, La Bottega delle Maschere, fino a domenica 23 aprile al Teatro Anfitrione. Enrico IV, l’opera in scena in questi giorni a Roma, ha anticipato l’ormai nota rassegna estiva Pirandelliana che si terrà anche quest’anno dal 4 luglio al 6 agosto nello splendido Giardino di S. Alessio all’Aventino. Per questa edizione 2023, intitolata “All’Aventino, l’Istrione!”, la Bottega delle Maschere ha scelto di portare in scena dieci atti unici (Bellavita, Sgombero, La giara – L’altro figlio, L’imbecille, La patente – La morsa, La verità, L’uomo dal fiore in bocca, All’uscita) più l’Enrico IV.
Dopo lo spettacolo portato in scena a Natale, ho avuto il piacere di incontrare nuovamente Marcello Amici nel suo regno, la sede della Compagnia (in viale di Valle Aurelia 137 a Roma), un luogo che emana suggestione in ogni angolo, tra cavalli di legno a grandezza naturale, costumi colorati, poster delle opere, innumerevoli recensioni, foto e testimonianze dei tantissimi spettacoli portati in scena negli anni. La compagnia, infatti, è stata fondata dallo stesso regista nel 1981 e da qualche anno brilla della presenza di un’altra brava interprete che affianca Marcello, Tiziana Narciso, la quale mi ha raccontato del suo personaggio, la Marchesa Matilde Spina, del quale scriveremo tra poco.
Allora Marcello, siamo in scena con L’Enrico IV, l’opera più famosa di Pirandello insieme ai Sei personaggi in cerca d’autore. Che differenze porta con sé l’Enrico IV, scritto e messo in scena da voi, rispetto alle rappresentazioni teatrali delle altre compagnie?
“Ti ringrazio per questa domanda. Inizierò dicendo che Enrico IV è un’opera che è stata portata in scena da grandissimi attori del teatro italiano, e ogni volta ha destato un grande interesse. L’attenzione è sempre stata rivolta proprio all’interprete che rappresentava Enrico IV, non alla compagnia nella sua totalità; quindi un interprete quasi sconosciuto, come poteva essere Marcello Amici anni fa, che si accingeva a fare questo lavoro, era guardato con diffidenza. Anche oggi rappresentare l’Enrico IV provoca nell’attore quel sottile filo di trepidazione. Io ogni volta che salgo su quel palcoscenico, sento quella sensazione che si avviluppa dentro. Ricordo sempre un mio amico che non volle mai portare l’Enrico IV alla Pirandelliana di Agrigento perché sosteneva che se veniva interpretato da un grande attore avrebbe riempito il teatro, ma se l’attore era invece meno conosciuto, sarebbe stata una vera scommessa, perché bisognava affidarsi esclusivamente alla sua bravura. Nel preparare questo Enrico IV, insieme ai miei ragazzi che vengono dalle piu note accademie romane, tra i quali Tiziana Narciso e Pier Giorgio Dionisi, ho scelto volutamente di non interpretare la “maschera”, sono uscito dalla classica rappresentazione pirandelliana, perché ho capito una cosa che anni fa mi era ancora estranea, ovvero che l’uomo di oggi fa di tutto per poter esistere, per dimostrare al mondo che esiste e che non è una persona dimenticata.
Questo giustifica l’esplosione dei social network, che hanno fatto leva su questa esigenza che abbiamo. Ognuno di noi vuole esistere, guai se non esistiamo, ci sentiremmo niente! La stessa cosa, ad un certo punto, l’ho pensata di Enrico IV. Un giorno capii all’improvviso il motivo per cui lui decide di non uscire dalla sua situazione, dalla sua pazzia, continuando a dare, a se stesso e agli altri, una rappresentazione carnevalesca. Questo accade perché noi siamo come ci vedono gli altri (la poetica pirandelliana!) e quindi Enrico IV decide di vivere nella realtà di una vera pazzia. Pur sapendo che è guarito, vuole continuare a fingersi pazzo. Tutti gli attori che mi hanno preceduto, come Albertazzi, hanno messo in scena un raisonneur, invece io ho preferito portare sulla scena un teatrante che offre il suo virtuosismo dialettico, non più quel tragico personaggio di Pirandello che offre la sua carnevalata. La sua vicenda si risolve in questa rappresentazione scenica, è consapevole della messa in scena che sta facendo, e si chiude nel suo personaggio. Questo è un pensiero totalmente differente da quello che avevo io stesso nel 1982; anche dentro di me Enrico IV è partito dall’essere un raisonneur ed è diventato un istrione! Quando un attore vive con un personaggio che mette in scena, assume alcuni suoi pensieri, gli resta inciso nella mente, e questo ti fa compagnia per tutta la vita. Contemporaneamente avviene una sorta di maturazione che diviene negli anni più profonda e quindi lo vedi negli anni in un modo nuovo, non rimane statico. Prendere una disgrazia e utilizzarla al proprio fine. Così è anche nell’opera L’uomo dal fiore in bocca: il personaggio continua a dimostrare all’avventore che nonostante la disgrazia non ha paura che la vita finisca, e così è per tutti i personaggi di Pirandello, sono degli istrioni. E questo fa Enrico IV.”
Cosa significa per te essere un istrione, gli dai una connotazione positiva o negativa?
“Essere un istrione è una cosa bella! Così concepito, è un appellativo di cui tutti gli uomini dovrebbero essere orgogliosi perché lo sono di natura, anche quelli che dicono di non esserlo. Tutti siamo degli istrioni, immancabilmente.”
Sei sia regista che attore protagonista di molte tue opere, ed è così anche nell’Enrico IV. Cosa rappresenta per te questo modo di vivere il teatro nella sua totalità?
“Quando ero più giovane mi sentivo più dinamico sul palcoscenico. Oggi mi rendo semplicemente conto che è molto difficile far capire il teatro ai ragazzi. Vengono dalle accademie anche molti dei miei attori, ma lo studio non è da solo sufficiente per avere la stoffa del bravo interprete. Il teatro per me è un modo di dire la verità in maniera più profonda, è qualcosa di grande. Pensa al bambino che si mette a giocare. Silvio D’Amico diceva che il teatro è una pedana sopra la quale quale c’è un attore che parla, un fondale e una luce. L’attore con la sua bravura deve far vedere quello che c’è intorno a lui, deve rappresentare la scena, deve saper parlare allo spettatore.
Quando da bambina giocavi con le amichette, che facevate? Vi mettevate con i piedini dentro le scarpe della mamma e appena salivate su quelle scarpe parlavate come la mamma, non più come le bambine che eravate. Questo è il teatro! Se ci fai caso, anche il modo in cui un attore si avvicina al costume è indicativo… osserva come lo tocca, cosa gli suscita. Perché quel costume è la pelle di un personaggio che qualcuno ha scritto e al quale tu sei chiamato a dare vita…”
Cosa è importante insegnare a un aspirante attore, a chi si avvicina al teatro oggi?
“Il teatro è un posto dove si gioca a fare sul serio, bisogna agire come nella vita. Se io ti guardo negli occhi, tu mi guarderai con l’intenzione che è sottesa alla domanda e alle parole che ti ho detto. In accordo o disaccordo con me, in mille modi differenti. Questo guardare implica una risposta alle parole che ti ho detto. Oggi invece mi rendo conto quando gli attori che fanno le prove con me sul palcoscenico, per vedere se quella è la loro strada, non hanno voglia di fare bene questo lavoro. Hanno uno sguardo vuoto, pensano magari a quello che mangeranno la sera… invece bisogna avere uno spessore per fare teatro, bisogna essere incisivi.”
Approfitto della preziosa presenza di Tiziana Narciso, interprete ma anche collaboratrice nella scelta dei costumi di questo Enrico IV, per farmi raccontare qualcosa sul suo personaggio: la Marchesa Matilde Spina.
“Matilde Spina è una donna che appartiene alla nobiltà, fa parte di un gruppo di personaggi caratterizzati da una certa superficialità, nel comportamento e nel modo di pensare. Durante una cavalcata si ritrova al fianco di un uomo di cui è innamorata. Questo uomo, insieme ad un altro più superficiale, la contendono. Ma il primo, cadendo da cavallo, perde la memoria, e si convince di essere Enrico IV. Si chiude in un castello per sempre, e solo dopo 20 anni la Marchesa che nel frattempo si è legata sentimentalmente all’uomo superficiale, si reca in visita al castello e scopre la responsabilità dell’uomo libertino nell’incidente di Enrico IV, forse per gelosia. La donna rivive quindi l’innamoramento per Enrico IV, il dolore; c’è un’alternanza di emozioni in lei, quello dell’amore e del rammarico, e quello della donna che ritorna ad essere ciò che è sempre stata: superficiale, anche con gli uomini, e scettica verso costoro che promettono e non mantengono. Lei aveva creduto all’amore di Enrico IV, ai suoi occhi, un uomo che non era superficiale come tutti gli altri.”
Quindi Tiziana, è un personaggio complesso questo della Marchesa
“Sì, mi diverte molto questa doppia interpretazione : tensione, dolore, rimorso, alternati all’amore, alla superficialità, al godimento e divertimento. Lei scopre che l’amico libertino, quindi l’uomo al quale infine è rimasta accanto, aveva fatto in modo che l’amico cadesse da cavallo provocandone la pazzia. Questo suscita in lei emozioni molto contrastanti.”
E’ la prima volta che interpreti l’Enrico IV da quando fai parte della Bottega delle Maschere?
“Sì, lo avevo visto in scena nel 2016, ma ancora non facevo parte della compagnia. Oggi c’è molto di mio in questa rappresentazione, gli ho dato un certo carattere con il mio personaggio. La superficialità l’ho interpretata anche nel personaggio di Assunta, la madre di Beatrice ne Il berretto a sonagli, ma è una piacevole eccezione, perché solitamente gli altri personaggi che interpreto nella Pirandelliana sono donne dal vissuto tragico.”
In attesa quindi di rivedere Marcello Amici e la sua Bottega delle Maschere alla prossima rassegna di luglio, auguriamo “buon vento” a questa Compagnia che risplende del suo fondatore, uomo di rara vitalità e professionalità autoriale.