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Assunzioni: la valutazione imparziale delle competenze

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Come business coach, mi sono reso conto di quanto sia cruciale per le aziende la valutazione imparziale delle competenze dei candidati. Spesso, nel processo di selezione, si rischia di cadere vittima di pregiudizi che possono compromettere la scelta del miglior talento.

Personale competente cercasi

La ricerca di personale competente è una sfida costante per molte aziende. Tuttavia, molte di esse si trovano a dover affrontare il problema di non trovare il personale adatto non perché non ci sia sul mercato, ma perché non riescono a individuarlo nel modo corretto. Inoltre, adempiere agli obblighi di legge in materia di quote rosa o categorie protette non è sufficiente per garantire un ambiente di lavoro inclusivo.

Come business coach, ho assistito a numerosi casi in cui i processi di selezione si basano su bias cognitivi e pre-giudizi che rendono difficile, se non impossibile, individuare le vere competenze di un candidato. In questo articolo mi sono avvalso della consulenza di Hunters Group per approfondire questo argomento e individuare finalmente uno strumento che permetta di rilevare eventuali pregiudizi che possono influenzare la valutazione e la scelta di un candidato.

Questo processo di selezione che dà garanzie di imparzialità esiste, ed è stato recentemente attestato ai sensi della ISO 30415:2021 in ambito Diversity & Inclusion. La D&I, ahimé, non è ancora attualità nella gran parte dei percorsi di selezione odierni, sia nelle piccole che nelle medio-grandi aziende, ed è spesso legata ad azioni di marketing e branding più che alla ricerca del Valore nelle persone.

A questo proposito, ho avuto occasione di approfondire il pensiero di Laura Pino, Key Account Manager di JHunters, brand di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato, la quale ha dato a I’M un punto di vista che riporo di seguito: “Nessuno può dichiararsi immune a quei pregiudizi che potremmo definire inconsci: ci sentiamo più vicini, ad esempio, a coloro che hanno frequentato la nostra stessa università, vivono vicino a noi o hanno il nostro stesso hobby. È una cosa che potremmo considerare normale, ma che in realtà in fase di selezione può portare a commettere gravi errori di valutazione”.

Quindi che fare? “Ciò che è importante, sottolinea Laura Pino, è “focalizzare l’attenzione sull’aspetto più importante e l’unico che dovrebbe contare in ciascun professionista: le competenze”.

Si parte dal Blind Recruiting

Partendo dal blind recruiting, va sviluppato un vero e proprio processo di ricerca e selezione che punti all’empowerment della diversità in azienda, rendendo quest’ultima sostenibile e – perchè no – redditizia.

Se già da alcuni anni negli Stati Uniti – e più recentemente anche in Finlandia – alcuni elementi legati alla sfera privata dei candidati sono omessi volontariamente nel cv per lasciare spazio al percorso professionale, all’esperienza maturata e alle competenze acquisite, un ulteriore passo in avanti è rappresentato dalla possibilità di individuare le competenze caratterizzanti del candidato, talvolta sviluppate proprio all’interno di un contesto e di un vissuto lontano da quello del selezionatore coinvolto.

All’inizio può essere fuorviante non vedere, ad esempio, in apertura del curriculum, i classici dati personali, ma rapidamente ci si rende conto di come alcune informazioni, in realtà, non servano e anzi rischiano di creare un pregiudizio (negativo o positivo) inutile ai fini della selezione. Reclutare un candidato basandosi su analisi, competenze e tecnicismi – svincolandosi quindi da fattori e scelte personali – rappresenta un valore aggiunto non solo per la cultura aziendale, ma soprattutto per la retention dei profili nel lungo periodo e nel rendimento del business.

“Per questo motivo – aggiunge Laura Pino – da qualche tempo abbiamo studiato un nuovo processo di selezione che permette all’azienda di imparare a conoscere il candidato secondo un iter prestabilito che accompagni l’azienda nell’analisi di determinati KPI, relativi all’iter di selezione, alla metodologia e alla scoperta dei bias cognitivi: tutto questo affinché possa misurare, rendicontare e quindi raccontare il proprio miglioramento anche in questo processo”.

L’obiettivo di Hunters Group è l’eliminazione dell’equazione che interpreta il processo di “inclusione” come sinonimo di inserimento in organizzazione di un determinato numero di candidati appartenenti alle “categorie non rappresentate”, a favore di un rinnovamento culturale e di processo che porti ad un vero e proprio “empowerment della diversità” in azienda. “Il processo di ricerca e selezione del personale che abbiamo messo a punto – specifica Laura Pino – permetterà di inserire nel bilancio di sostenibilità sociale anche il fatto che i processi di selezione siano compliant alla diversity secondo ISO 30415:2021 e, si sa, quando il processo è compliant, l’inserimento di donne, categorie protette o altre diversità in azienda diviene solo un di cui di un’innovazione molto più forte: l’investimento sulle competenze”. Il costo della selezione sbagliata: l’analisi di Hunters Group.

Assumere la risorsa sbagliata può essere molto costoso, in termini economici, di tempo e di energie. Secondo alcune analisi elaborate da Hunters Group, e che sono convinto possano interessare il lettore, commettere un errore di questo genere potrebbe addirittura costare un 30% in più a cui si rischia di dover sommare, ad esempio, il mancato rinnovo di un contratto, la perdita di un cliente o un danno reputazionale. “Un corretto iter di selezione – conclude Laura Pino – garantisce un ritorno sull’investimento iniziale; al contrario, invece, una selezione errata continuerà a generare perdite. Sostituire un dipendente può costare fino al 50% della sua retribuzione annua lorda tra iter di ricerca e tempi di preavviso. Non dimentichiamo, poi, che risorse inadatte potrebbero mettere a rischio la produttività, compromettere il benessere dei colleghi e, di conseguenza, anche il business. Ed è per questo che sbagliare non è un’opzione”.

Come coach dedicato alla new economy, il mio obiettivo è quello di aiutare professionisti e aziende a eliminare l’interpretazione errata del concetto di “inclusione” come semplice inserimento di candidati appartenenti a determinate categorie, per favorire un vero e proprio “empowerment della diversità” all’interno dell’organizzazione. Questo processo di ricerca e selezione del personale non solo favorisce la cultura aziendale, ma contribuisce anche alla retention dei talenti nel lungo periodo e al successo del business.

Oggi è fondamentale incoraggiare le aziende a considerare seriamente l’importanza di una valutazione imparziale delle competenze durante i processi di selezione. Investire in strumenti e metodologie che riducono i bias cognitivi e promuovono la diversità e l’inclusione porterà ad un ambiente di lavoro più sostenibile e ad una crescita aziendale duratura.

Paul Fasciano, Direttore di InsideMagazine e del Gruppo Editoriale Inside, è un mental coach prestato al mondo della comunicazione digitale. Con un background accademico in sociologia e una formazione in PNL, mindfulness e neuroscienze, ha dedicato oltre tre decenni allo studio delle dinamiche sociali odierne. E' autore di varie pubblicazioni incentrate sulla crescita personale nel complesso contesto contemporaneo. La sua missione è fornire ai professionisti le informazioni più aggiornate e rilevanti, migliorando la loro comunicazione e potenziando il loro mindset con strategie efficaci e mirate.

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