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Il curioso caso di Paul Van Doren e la nascita delle Vans (una storia di porte e di portoni)

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Immagina una scena che sembra uscita da un manuale di sopravvivenza urbana. L’aria è carica di noia e la luce fluorescente dell’ufficio fa sembrare tutto un po’ più grigio. Qui anche il caffè sembra avere un’esistenza più interessante di Paul Van Doren che, con un viso che ricorda un bulldog a cui hanno appena tolto l’osso preferito, si trova a subire l’ennesima insensata richiesta del suo capo. Quello di Paul è il profilo del tipico boss, un individuo che, se fosse stato un personaggio di un romanzo, avrebbe meritato il ruolo del villano minore, quello che neanche riesce a guadagnarsi l’odio del lettore.

Quel giorno, due solerti infermieri erano stati chiamati dal capo per misurare la pressione di vari dipendenti che, a suo dire, non restituivano l’immagine del brillante statista voluta della proprietà e tra questi in elenco risultava anche Paul. “Anche lei?” chiese uno dei due in camice bianco, con la stessa enfasi che si riserva a un complice in una rapina.

“Pare di sì” rispose Paul, che ormai parlava solo per monosillabi, un’arte affinata negli anni per risparmiare energia mentale. “Ma quale pressione? Il problema è quell’idiota del capo.” Questo semplice scambio segnò l’inizio della fine. Paul capì che non valeva più la pena sopportare tutto ciò e fu in quel momento, un po’ come un’illuminazione alla Newton (senza mela caduta in testa), che Paul capì di aver raggiunto il limite. Scrisse di primo getto una lettera che aveva lo stesso tono risoluto di un biglietto d’addio e lasciò l’ufficio senza voltarsi indietro.

Paul, con un’espressione di stanca determinazione, percorreva ancora una volta il tragitto verso casa, ma quel giorno c’era qualcosa di diverso. Aveva appena compiuto un atto di ribellione che avrebbe cambiato la sua vita: si era licenziato.

Arrivato a casa, dove la tranquillità del soggiorno contrastava bruscamente con il caos mentale che stava vivendo, trovò suo figlio Steve a giocare. Steve, sorpreso di vedere il padre a un’ora così insolita, alzò lo sguardo e chiese: “Papà, cosa ci fai qui?”

Paul, affondando sul divano come se fosse stato risucchiato da un buco nero di stoffa, rispose: “Mi sono licenziato, e adesso non so proprio che fare.”

Qui entriamo nella sfera della fisica quantistica che compete alla vita di Paul. Esattamente come in quei meravigliosi esperimenti in cui un fotone si comporta come particella o come onda a seconda di chi lo guarda, anche la realtà di Paul stava per essere plasmata dalle sue decisioni.

Mentre si sedeva lì, cercando di capire se avesse fatto la scelta giusta o se avesse semplicemente perso il senno, il telefono squillò. Era suo fratello James, sempre carico di entusiasmo come una pila Duracell in una pubblicità degli anni ’90. “Paul, ho un’idea,” disse James, con la certezza di chi sa che anche la peggior follia può essere mascherata da genio imprenditoriale. “Gordon, Serge e io stiamo pensando di aprire un negozio di scarpe. Che ne dici di unirti a noi?”

Ecco il dilemma, signore e signori. Paul avrebbe potuto scegliere la via della sicurezza, della monotonia garantita e tornare a lavorare come dipendente per un ufficio con busta paga e pensione sicuri, oppure lanciarsi in una nuova avventura con la stessa incoscienza di un adolescente che salta su un treno in corsa. Ma erano gli anni ’60, in California, e dove aprire una nuova linea di scarpe per skaters se non lì e allora? Così, Paul optò per la seconda opzione, forse spinto da quel misto di disperazione e speranza che caratterizza tutti i grandi cambiamenti.

Il loro primo negozio Vans aprì il 16 marzo 1966. E qui bisogna fare una pausa per apprezzare il genio dell’operazione. La Van Doren Rubber Company aprì al numero 704 della East Broadway ad Anaheim, California. Il loro modello di business era unico, in quanto le scarpe venivano realizzate in loco e vendute direttamente al pubblico. “Scarpe in tela per tutta la famiglia” era lo slogan sulla scatola.

La prima mattina di apertura, le scarpe da barca Vans, ora conosciute come Authentic, furono acquistate da 12 clienti. Durante la prima settimana, una cliente ne ordinò un paio di un colore diverso e Van Doren chiese un campione del tessuto da utilizzare, dando così inizio alla personalizzazione delle scarpe per cui Vans è rinomata divenendo rapidamente il simbolo di un’intera cultura. Le suole in gomma vulcanizzata e il design robusto conquistarono il cuore degli skater, trasformando un’impresa familiare in un fenomeno globale. Dieci anni dopo, la storia della stampa a scacchi ebbe inizio con il modello #48 delle Vans, noto oggi come Slip-On. La palla passava al giovane Steve Van Doren, il figlio di Paul che, osservando i giovani skater che trasformavano le loro scarpe in tavole da scacchi, decise di portare questa idea al livello successivo. Stampò il motivo direttamente sulla tomaia in tela delle Slip-On, dando vita al famoso modello a scacchi che tutti conosciamo e amiamo. Un colpo di genio che ha cambiato il gioco della moda streetwear.

Ma la magia di Vans non risiedeva solo nelle scarpe. Era la filosofia dietro di esse. Paul aveva trasformato la sua decisione impulsiva di lasciare un lavoro insoddisfacente in un marchio che gli apparteneva e incarnava il suo spirito di ribellione e autenticità.

E ora, cari miei, ecco la lezione: proprio come in un esperimento quantistico, le nostre vite sono determinate da come le osserviamo e dalle decisioni che prendiamo. Prendere una posizione chiara e risoluta guidata da una forte intenzione (che potete tradurre liberamente come “tensione interna”, qualcosa che perturba il Campo in cui ognuno di noi è immerso come un pesce rosso in un acquario) conforma l’ambiente che ci circonda, proprio come fa un osservatore che studia un fotone e fa collassare la sua funzione d’onda come detta la fisica dei nostri amici quanti. La storia di Paul Van Doren, in sostanza e molto più semplicemente, ci insegna che chiudere una porta può davvero aprire un portone, rivelando possibilità che non avevamo nemmeno immaginato.


La prossima volta che ti trovi davanti a una decisione difficile, ricordati della storia di Paul Van Doren. Abbraccia l’incertezza con un sorriso ironico e un pizzico di speranza, perché, proprio come un fotone in balia dell’osservatore, la tua realtà può essere più straordinaria di quanto tu possa mai pensare.

Paul Fasciano, Direttore di InsideMagazine e del Gruppo Editoriale Inside, è un mental coach prestato al mondo della comunicazione digitale. Con un background accademico in sociologia e una formazione in PNL, mindfulness e neuroscienze, ha dedicato oltre tre decenni allo studio delle dinamiche sociali odierne. E' autore di varie pubblicazioni incentrate sulla crescita personale nel complesso contesto contemporaneo. La sua missione è fornire ai professionisti le informazioni più aggiornate e rilevanti, migliorando la loro comunicazione e potenziando il loro mindset con strategie efficaci e mirate.

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