Durante queste votazioni anticipate americane, si sta assistendo a una affluenza record di afroamericani, “come se la loro vita dipendesse da questo voto” (parole di Michelle Obama). Più di 28 milioni di persone hanno già votato e negli stati che riportano l’affiliazione ai partiti, tra i democratici domina il voto in persona e quello per posta.
Gli afroamericani, per la maggioranza, stanno scegliendo di votare di persona per evitare che, per posta, il loro voto venga respinto. Si stanno sottoponendo a lunghissime code, dove spesso sacrificano intere giornate, per essere sicuri che il loro voto conti.
Aspettavano con ansia questa unica possibilità loro concessa per cercare di cambiare. E stanno votando contro l’opposizione di Trump al movimento BLM (Black Lives Matter); contro gli abusi della polizia non perseguiti dal Dipartimento della Giustizia; contro un presidente che chiama i suprematisti bianchi: “very fine people” (gente eccellente); contro un presidente entrato in politica asserendo che Barack Obama fosse nato in Kenya; contro un presidente che ha speso 4 anni alla Casa Bianca a smantellare il lascito di Obama; contro un presidente che ci ha provato anche con Kamala Harris, affermando che i suoi genitori non erano nati negli Stati Uniti: contro un presidente specializzato in insulti personali, specie nei riguardi di attivisti e legislatori afroamericani.
Portano sedie e cibo per aspettare in fila; ricordano la lotta per il voto del secolo scorso e quanto la loro comunità sia stata soggetta alla pratica di soppressione del voto attraverso ogni tipo di manovra politica. E’ ingiusto che, in mezzo a una pandemia, siano soggetti a file estenuanti ed è eroico che, malgrado sappiano quanto questa situazione sia sbagliata, persistano nello sforzo.
Ma sanno, almeno loro, che in ballo c’è una democrazia in pericolo. .