Di Nicola Venturini –
App utilizzatissima, Instagram risulta essere un incubo per la privacy per coloro che lo utilizzano. Questo è il risultato di una nuova analisi delle app più invasive utilizzate comunemente dagli utenti da pCloud di cyber business. pCloud ha utilizzato la gamma di nuove etichette sulla privacy lanciate da Apple attraverso il suo App Store, progettate per aiutare i consumatori a decidere su cosa dovrebbero fare attenzione, per vedere la quantità di dati privati di un utente raccolti e condivisi con gli altri.
Instagram, Facebook e LinkedIn i peggiori sulla privacy
In media, circa la metà delle app più popolari condivide i dati degli utenti con terze parti. Ma Instagram, Facebook e LinkedIn sono i tre peggiori trasgressori.
Instagram in particolare è in cima alla lista.
“Non c’è da stupirsi che ci siano così tanti contenuti promossi nel tuo feed”, afferma pCloud nella sua analisi. “Con oltre 1 miliardo di utenti attivi mensilmente, è preoccupante che Instagram sia un hub per la condivisione di una quantità così elevata di dati dei suoi utenti inconsapevoli“.
Le pratiche di raccolta e condivisione dei dati di Instagram per impostazione predefinita riescono ad attivare molti degli avvisi sull’etichetta sulla privacy di Apple, inclusa l’offerta di informazioni a terze parti sugli acquisti e sulla posizione di un utente, nonché le informazioni di contatto. Vedrai anche la tua cronologia di ricerca e di navigazione condivisa con altri, se non attenti, così come gli identificatori personali e i tuoi dati di utilizzo.
L’effetto a catena: 79% di data sharing
La diagnostica, che esprime una valutazione delle aree nelle quali l’app è carente, viene fornita anche a terze parti, insieme alle informazioni finanziarie in caso si facciano acquisti all’interno dell’app.
Ma non sono solo i tuoi dati personali che Instagram condivide con terze parti: fornisce anche dettagli su chi sei in contatto, il che significa che sta creando un effetto a catena.
Il secondo classificato Facebook, che è di proprietà della stessa società madre, fa la stessa cosa: le uniche due app a farlo, su 50 intervistate da pCloud. In tutto, uno sbalorditivo 79% dei dati personali di un utente viene fornito a terze parti ogni volta che apre l’app per sfogliare la gamma di foto, video e storie degli amici pubblicati su Instagram.
“Sebbene ci si possa fidare del fatto che queste app non facciano nulla di dannoso con le tue informazioni, ci sono molte persone che non possono permettersi questa incertezza”, afferma pCloud, che teme che i dati possano in qualche modo essere intercettati.
LinkedIn ancora sotto accusa
07/04: il sito CyberNews ha aggiornato il suo database di controllo delle fughe di dati personali con oltre 780.000 indirizzi e-mail associati a questa fuga. Usalo per scoprire se il tuo profilo LinkedIn è stato raschiato dagli attori delle minacce.
A seguito del grande data leak, giusto pochi giorni dopo un’altra massiccia fuga di dati anche da parte di Facebook, le acque non si sono per niente calmate. Anzi, gli hacker continuano a battere il chiodo finche è caldo.
Un archivio contenente dati presumibilmente raschiati da 500 milioni di profili LinkedIn è stato messo in vendita su un popolare forum di hacker, con altri 2 milioni di record trapelati come campione di prova dall’autore del post.
10/04: sembra che altri autori di minacce stiano cercando di cavarsela con la fuga. Venerdì, una nuova raccolta di database di LinkedIn è stata messa in vendita sullo stesso forum di hacker da un altro utente, per un valore di $ 7.000 in bitcoin.
Il nuovo autore afferma di essere in possesso sia del database originale da 500 milioni di euro, sia di altri sei archivi che presumibilmente includono 327 milioni di profili LinkedIn “raschiati” (dal termine data scraping, ossia rimozione dei dati).
Qual’è il problema dei big data oggi?
Il problema, come facilmente intuibile, non è tanto nel vedere i propri dati online, bensì nel possibile utilizzo che potrebbe farne qualche hacker. Basti pensare a quando, qualche mese fa, dei cyber criminali sono riusciti a colpire l’operatore Ho.mobile. Combinando i suoi dati, assieme a quelli rubati su Facebook, ad esempio, è possibile ottenere anche l’indirizzo di casa. Una situazione che mostra come sia estremamente importante difendersi, onde evitare di dover fare i conti con possibili inconvenienti.
Sempre più spesso, purtroppo, capita di imbattersi in tentativi di raggiri, come ad esempio finti messaggi attraverso i quali dei malintenzionati riescono a rubare gli account del malcapitato di turno. Se tutto questo non bastasse, di recente, a destare particolare interesse è una vicenda che non può passare di certo inosservata. Ben 533 milioni di utenti Facebook in 106 Paesi, infatti, si sono visti rubare i propri dati, con quest’ultimi che sono stati pubblicati online, rendendoli così facilmente disponibili ai ladri di identità digitale.
La crisi dei social, verità o bugia?
In questi ultimi mesi abbiamo visto grandi rivoluzioni all’interno dei maggiori social network, Facebook, Instagram, LinkedIn e Whatsapp in testa. Ovviamente si è cavalcata l’ondata del Covid, con centinaia di milioni di utenti chiusi nelle proprie case il momento per premere sull’acceleratore dell’advertising era arrivato. Come ho riportato in precedenti articoli, le nuove features delle app sono in continua espansione, ma insieme a queste news positive se ne sentono tante su bug, hackeraggi, cyber attacchi, privacy violata ecc. ecc. Aggiungiamoci questa tanto millantata “crisi dei social” (qui ne parlavo a proposito di Whatsapp) e il gioco è fatto.
Io la penso semplicemente così: più se ne parla e meglio è. Non c’è nessuna crisi dei social, semplicemente gli ADV managers dei colossi americani vogliono che ogni giorno se ne parli, che ogni giorno Facebook, Instagram, Whatsapp, LinkedIn ecc. rimbombino nella nostra testa e riempiano i nostri discorsi. Trucco vecchio come il mondo, la base del marketing, niente di che preoccuparsi, a condizione di rimanere vigili e pensare con la propria testa.
Altro paio di maniche è la vendita da parte di questi colossi, Instagram in testa, dei nostri dati personali. Questo fatto è ormai sotto la luce del sole, e a mio parere conviene abituarcisi più che combatterlo. La monetizzazione della nostra stessa intimità è diventata realtà, ciò strapperebbe un sorriso a Orwell o a Huxley. Il punto qui è un altro: non dare valore a una moneta che valore non ha. Accettiamo quindi questo ennesimo compromesso nelle nostre vite ormai sbandierate ai quattro venti, e cerchiamo semplicemente di essere come dovremmo: candidi come colombe, astuti come serpenti.
Meglio una vita senza segreti, che una vita impegnata a difenderli…
Photo: UnSplash
Fonti: Cybernews