di Giacomo Torresi –
Presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma, è stato presentato il Rapporto Ital Communications-Censis dal titolo: “Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione”.
Obiettivo della ricerca è stato quello di evidenziare il ruolo svolto in Italia dai professionisti delle agenzie di comunicazione nel garantire qualità e veridicità alle notizie e mantenere, così, un sistema dell’informazione libero e pluralista.
Per la prima volta, i media, vecchi e nuovi, hanno avuto difficoltà a governare un contesto di improvvisa moltiplicazione della domanda, a causa della pandemia, confermando di avere sempre più bisogno di figure esterne affidabili e competenti.
Combattere le fake news
Per il 49,7% degli italiani la comunicazione sul Covid19 è stata confusa, per il 39,5% ansiogena (un dato che sale al 50,7% tra i più giovani), per il 34,7% eccessiva e solo per il 13,9% della popolazione equilibrata.
Le agenzie di comunicazione possono allora rappresentare validi argini contro la cattiva comunicazione poiché, mentre lavorano per valorizzare e supportare l’immagine dei propri clienti, operano anche per i media e per la qualità dell’informazione veicolata.
In Italia sono attive 4389 agenzie di comunicazione, dove lavorano 8311 professionisti.
Si tratta di realtà aziendali in crescita negli ultimi anni (+12,5% dal 2015 al 2020) e aumentate anche nell’anno orribile dell’epidemia sanitaria (+1,2%). Sono fortemente concentrate nelle aree del Nord del Paese: il 37,0% è nel Nord Ovest, dove si trova anche il 49,3% degli addetti e il 17,2% nel Nord Est, il 21,5% al Centro e il 24,3% al Sud e nelle isole.
E’ un microcosmo fatto di realtà piccole e piccolissime, con una media di 1,9 addetti per impresa. A Milano ce ne sono 710 (16,2% del totale), con una media di 4,2 addetti ciascuna, a Roma 400 (il 9,1%), per una media di 1,8 unità ciascuna.
Infodemia
Con la pandemia, il sistema dei media ha moltiplicato la propria offerta, una vera e propria “infodemia comunicativa”, con il web che ha allargato la platea del mondo dell’informazione portando più libertà, più protagonismo, più notizie, ma anche meno intermediazione e controlli sulla qualità e la veridicità delle news.
Un sovraffollamento comunicativo che ha aumentato il rischio di generare ansia, allarme sociale e visioni distorte della realtà, conseguenze tanto più diffuse quanto più le notizie sono specialistiche, settoriali, di difficile interpretazione e hanno delle ripercussioni sui comportamenti collettivi: è appunto il caso delle regole da seguire per la prevenzione, la diagnosi e la cura del Covid19.
Basti pensare che 50 milioni di italiani, pari al 99,4% degli italiani adulti, hanno cercato informazioni sulla pandemia da diverse fonti, informali e non, creando un proprio personale palinsesto informativo in cui media tradizionali e social media hanno avuto uno spazio rilevante.
Al primo posto, 38 milioni di italiani hanno cercato informazioni sul Covid19 sui media tradizionali, come televisione, radio, stampa. Seguono i siti internet di fonte ufficiale, primi tra tutti quelli della Protezione Civile e dell’Istituto Superiore della Sanità, cui 26 milioni di italiani si sono rivolti per avere un’informazione attendibile su contagi, ospedalizzazioni, decessi.
Al terzo posto, circa 15 milioni di italiani, hanno consultato i social network.
Al medico di medicina generale si è rivolto 1 italiano su 4, 12,6 milioni in valore assoluto, mentre oltre 5,5 milioni hanno chiesto aiuto a un medico specialista e 4,5 milioni a un farmacista di fiducia.
Dalla potenza informativa dei media tradizionali e del web sono rimasti esclusi solo 3,7 milioni di italiani, il 7,4% del totale: di questi, 3,4 milioni hanno consultato altre fonti e 300mila sono rimasti completamente fuori da qualunque informazione.
Ansia e confusione
Il risultato è stato un eccesso di flussi informativi generali, contraddittori e che in molti casi sono stati solo generatori di ansia.
Tra i più giovani sono molto elevate le quote di chi ritiene che la comunicazione sia stata sbagliata (14,1% per i 18-34enni e 3,7% per gli over 65enni, a fronte di una media del 10,6%), e addirittura pessima (14,6% tra i millennials, 3,2% tra i longevi).
La comunicazione confusa sul virus, anziché rendere gli italiani più consapevoli, ha veicolato paura: è di questa opinione il 65,0% degli italiani, quota che cresce tra i soggetti più deboli, arrivando al 72,5% tra gli over 65enni e al 79,7% tra chi ha al massimo la licenza media.
Per arginare la proliferazione delle fake news servono misure che pongano in primo piano la responsabilizzazione dei diversi attori che si muovono sul web: il 52,2% degli italiani pone l’accento sull’obbligo da parte delle piattaforme di rimuovere le false notizie, mentre il 41,5% ritiene che i social media debbano attivare dei sistemi di controllo (fact checking) delle notizie pubblicate.
Prioritario, poi, avviare campagne di sensibilizzazione e prevenzione sull’uso consapevole dei social.
Web regno delle fake news
Regno incontrastato delle bufale e delle fake news diffuse con la bulimia comunicativa al tempo del Covid19 è stata la rete.
Sono 29 milioni (il 57,0% del totale) gli italiani che durante l’emergenza sanitaria hanno trovato su web e sui social media notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate su origini, modalità di contagio, sintomi, misure di distanziamento o cure relativi a Covid-19.
Effetti evidenti e preoccupanti, molto pericolosi, di una comunicazione senza intermediazione, in cui sono venute meno le barriere d’accesso e mancano i filtri per la verifica o il discernimento di qualità delle notizie.
Giuseppe De Rita, presidente del CENSIS, afferma:
La comunicazione e le società di comunicazione devono sapere cos’è l’informazione e la freddezza informativa. C’è il rischio che la comunicazione dell’informazione sia schiacciata dalla comunicazione dall’alto basata sulla comunicazione emozionale.
E se vince l’alto rispetto al basso, dov’è la mediazione di chi fa informazione? Che fa la dimensione intermedia? Fra il basso e l’alto e fra l’emotività e l’informazione c’è un vuoto da riempire con l’intermediazione. La prossima pandemia facciamo una centrale informativa che non sia un balcone delle emozioni.
(fonte: Prima, CENSIS, Assocomunicatori)