Tony – Qual è stata la peggiore idea che ti è stato imposto di disegnare? E perché non sei riuscito a dissuadere la committenza? E fu mai costruita (ed in seguito si dimostrò sbagliata)?
La peggiore idea
Michael – Un architectural designer ha poca voce in capitolo su scelte che vengono prese a monte da una committenza che, alla fine di un difficile percorso in cui lo studio di architettura è forse la tappa più facile, vede solo il denaro. Denaro che deve essere massimizzato e quando si ha a che fare con l’architetto si pretende il miracolo, la moltiplicazione dei metri cubi.
Ricordo che lavorando a Caracas negli anni 70, si presentavano committenti con disegni di planimetrie abbozzate la sera prima sul tavolo della cucina su carta per avvolgere il pane; si trattava di ex capo mastri riciclati in imprenditori edili che maneggiavano progetti di torri residenziali fino a 18 piani. E naturalmente pretendevano, in spazi prestabiliti dal sito e dai regolamenti edilizi, di schiacciare insieme, per esempio, 10 appartamenti in luogo di 8. A scapito della vivibilità di ciascun appartamento, ma a vantaggio del loro portafoglio. Pessima idea, ma credi che di fronte alla forza del denaro si possa essere persuasivi?
In una stanza da letto 3×3 ci puoi sistemare un letto ed anche un tavolino, ma è una buona idea? Per chi ci ha speculato sopra certamente sì, ma per il ragazzo che ci deve crescere dentro per 20 anni, l’idea è pessima.
L’esempio del Corviale
Ti faccio l’esempio di edifici come le Vele a Napoli o il Corviale a Roma, che sono diventati covi di criminalità non a caso.
Costruiti con le migliori intenzioni identitarie e comunicative, ispirate ad una architettura modernista con un certo impatto estetico, in breve è l’impatto sociale che si è rivelato fallimentare. Dov’è l’idea sbagliata? Ve ne è più di una naturalmente; prima di tutto l’eccessiva concentrazione abitativa, poi la mancanza di servizi adeguati di supporto, come scuole nido, palestre, centri comunitari di svago e aggregazione, attività commerciali. Ed a questo c’è da aggiungere il minimalismo delle abitazioni, spesso composte da una sola stanza. Così che vivere in quelle condizioni di promiscuità, ha creato solo diffidenza nella comunità e rabbia negli individui; e da qui alla droga e al malaffare il passo è obbligato. Un chiaro esempio del danno causato dalla mancanza di integrazione tra industria della costruzione, politica sociale ed esigenze del mercato.
Ecco, volevi un esempio di un costruito completamente sbagliato? Vai in Italia e visita le Vele a Napoli ed il Corviale a Roma, e capirai meglio quanto sia facile sbagliare in architettura quando non vi sono solide politiche sociali a supporto.
Tony – Negli anni ’60 hai lasciato Roma per seguire la tua carriera di architetto nel mondo. Puoi spiegare in 2 o 3 frasi la differenza tra il comunismo in Europa negli anni ’60 ed il comunismo oggi in America o in Europa?
Michael – Tu sei americano e già nell’impostazione della tua domanda si può trovare la risposta che cerchi. Il comunismo in America è una parolaccia, ha un significato estremamente negativo, tant’è che in quasi tutti i contesti è sostituito dalla parola socialismo, suo sinonimo in perniciosità. Patrioti sono quelli che hanno assalito il Capitol per ribaltare il risultato elettorale, socialisti e quindi feccia della peggior specie, sono Biden e chi lo ha votato. In una inversione di paradigma estremamente pericolosa per la tenuta democratica del paese.
La politica del lavoro
Mentre in Italia, subito dopo la guerra, il partito comunista, il più grande in Europa dopo l’Unione Sovietica, era democraticamente inserito nell’arco costituzionale del Parlamento italiano; in America, con il maccartismo, si è vissuto uno dei periodi più bui della storia americana. Da una parte vi sono state riforme economiche, civili e sociali, senza precedenti, dall’altra una caccia alle streghe volta a tacitare la parte più progressista dell’entourage culturale. Progresso democratico versus regressione valoriale.
Oggi il comunismo sembra essere diventato una parolaccia anche in Italia ed a giudicare dall’onda di sovranismo ed individualismo che si sta propagando a macchia d’olio, anche in Europa.
Perché? Perché il lavoro manuale è diventato precario, così che non esiste più l’operaio e con esso il “movimento operaio” alla base di qualsiasi comunità veramente progressista.
Tony – Quale era allora la tua forma mentis e quali i tuoi obiettivi?
Michael – Sono andato via dall’Italia subito dopo lo scoppio delle prime bombe fasciste, con quella alla Banca dell’Agricoltura di Milano col numero maggiore di vittime. Non che questo abbia influito sulla mia decisione. Avevo altre motivazioni. Però mi rendevo conto che il mio Paese era sotto l’attacco di forze il cui unico scopo era quello di sovvertire l’ordine democratico. Pensavo certamente alla futilità del movimento studentesco che pochi anni prima aveva cercato di scardinare il paternalismo delle istituzioni borghesi con l’aspirazione, nientemeno, di una maggiore libertà nei costumi ed autonomia nelle decisioni. Tutto inutile. Già Pasolini, nella battaglia di Valle Giulia, si era schierato dalla parte dei celerini, secondo lui i veri proletari (dimenticando che erano lì a difendere non le istanze del proletariato, ma quelle di uno stato repressivo, almeno secondo la classe studentesca di allora).
D’altra parte per me incominciava una nuova fase di vita, in un nuovo paese e con nuove prospettive di lavoro. E certamente ero concentrato su questo.
In una natura esotica ed in mezzo a nuove conoscenze, mi sarò sentito l’esploratore di un mondo che da subito si era rivelato accogliente ed a cui era facile adattarsi.
L’obiettivo, allora come sempre, era quello di crescere nella mia professione. Con la famiglia come involucro di emozioni dentro cui integrarsi per trovare una vera ragione di vita.
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