“Secondo molti esperti la pandemia ha ridefinito le priorità delle persone che non sempre accettano di lavorare alle stesse condizioni di prima. Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia ed Ungheria sono tutte alle prese con lo stesso problema. Ristorazione e logistica i settori più colpiti. E le buste paga iniziano a crescere”. Inizia così un articolo su Il Fatto Quotidiano dedicato al cambiamento in atto nel mondo del lavoro.
Cambiamenti
Non ci piace cambiare. Siamo geneticamente impostati come genere umano a stabilire legami, a gestire routine, a voler mantenere il controllo sulle cose che ci riguardano. Per questo la pandemia è stata ed è tuttora così destabilizzante. In pochi mesi la pandemia di coronavirus ha stravolto la vita quotidiana di milioni di persone in tutto il mondo. Per gli italiani l’impatto economico del virus ha portato a nuove categorizzazioni di lavoratori “essenziali”, un passaggio su larga scala al lavoro a distanza e una disoccupazione alle stelle che si prevede continuerà ad aumentare.
L’aspetto particolare, che denuncia anche Il Fatto è proprio questo: “per molti esperti ancora non è ben chiaro come sia possibile che, mentre ci sono milioni di persone in cerca di un impiego e i livelli di occupazione sono ancora sotto a quelli pre-pandemia, in tutti i paesi economicamente avanzati le imprese denuncino gravi carenze di manodopera. Una risposta l’ha data il premio Nobel Paul Krugman che sul New York Times ha scritto un editoriale dal titolo “I lavoratori non sono più disposti a fare il lavoro di prima alle stesse condizioni di prima”. E’ davvero così?
Il lavoro che cambia
“Esperti ed osservatori scrivono che la pandemia ha ricordato alle persone che la vita è breve e che lavorare tanto e male e per salari bassi, non sempre è la scelta migliore. O che quantomeno si può provare a scoprire se esistano delle alternative. Non è un caso che le maggiori difficoltà di reperimento di manodopera si registrino in settori dove i contratti sono più poveri e più instabili: logistica, ristorazione, nettezza urbana. Dopo la “scossa” le persone chiedono condizioni migliori, più flessibilità negli orari e/o salari più adeguati. Se questo avviene in maniera inconsapevolmente coordinata su larga scala il manico del coltello passa, almeno temporaneamente, nelle mani dei lavoratori. È quasi come se la pandemia stesse agendo come un unico sindacato globale che coordina le richieste”, continua Il Fatto Quotidiano.
I fattori determinanti possono essere tanti. Il cambiamento culturale, quello delle aspettative, visto che cresciamo e viviamo in un mondo che ci distribuisce attorno immagini di una vita ideale, vogliamo appartenere a quell’immagine, che non è fatta di un lavoro in fabbrica da 8 ore al giorno al minimo salariale, ma di smartworking magari vista lago, formandosi in uno dei lavori cosiddetti “del futuro” in ambito digitale, comunicazione, servizi e assistenza.
1. Assembramenti, no grazie
Primo, fondamentale aspetto da tenere in considerazione è la difficoltà delle persone di tornare a riunirsi ancora per lavoro.
Tutti nella stessa stanza, anche se è un open space di una catena di montaggio. I luoghi dove c’è troppa gente sono diventati pericolosi nell’immaginario comune. La parola “assembramento” incute ansia e riporta la memoria dentro scenari che non vorremmo più vivere. Quindi, la quantità di tempo dedicato al lavoro a stretto contatto con gli altri e il concetto rivisto e corretto della settimana lavorativa sono sintomi del più grande cambiamento culturale degli ultimi 50 anni in cui siamo immersi fino al collo.
Facciamo due conti. Con più persone che lavorano in remoto, le aziende possono aprire hub regionali o fornire accesso a spazi di coworking ovunque. Distribuire i lavoratori, concentrati su progetti piuttosto che avere la maggior parte della loro forza lavoro in un unico ufficio centrale che deve presenziare, mettendo al centro le ore di lavoro e non la sua qualità. Di conseguenza, le sedi aziendali possono diventare uno status symbol per le aziende che hanno ancora il budget e una forza lavoro tale da garantire immobili costosi in una grande città.
L’investimento di un’azienda nella sua sede potrebbe diventare un modo per reclutare talenti, afferma Jane Oates, presidente di WorkingNation, portavoce di una campagna senza scopo di lucro sulla disoccupazione, ed ex assistente segretario presso il Dipartimento del Lavoro. Il punto di riferimento che cambia e che porta le persone in cerca di lavoro a desiderare di lavorare in proprio o per un’azienda con una sede fisica in cui rimangono i pochi manager “che contano”, il che potrebbe aumentare la consapevolezza del marchio e l’influenza generale all’interno di un particolare settore.
2. Salario giusto, sì grazie
Ulteriore punto, collegato al precedente: il salario. Una posizione migliore è sinonimo di stipendio migliore. E oggi infatti si parla di “salario minimo garantito” in Italia. “Non c’è solo l’ormai celebre “Pay them more!” di Joe Biden: pure il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ha suggerito che ritoccare gli stipendi potrebbe essere d’aiuto. Qualcosa si muove, in Ungheria le buste paga nell’industria sono salite in media del 9% rispetto ad un anno fa. Dal canto loro, non solo in Italia, gli imprenditori se la prendono con i sussidi di disoccupazione che sarebbero troppo alti inducendo le persone a restare a casa. Una teoria che però trova pochi riscontri nella pratica e sembra basata più su pregiudizi che su dati di fatto. La svolta è più decisa, il riassestamento del mercato del lavoro più profondo” continua l’articolo a firma di Mauro Del Corno su Il Fatto.
Quando Twitter e la società di e-commerce Shopify hanno ordinato ai loro dipendenti di lavorare da casa durante il periodo più intenso della pandemia, entrambi i datori di lavoro hanno fornito al personale risorse aggiuntive per facilitare la transizione al lavoro a distanza. Esempio di come oggi sia avvertito importante dare ai lavoratori le risorse adeguate per sostenersi. E questo semplicemente non succede ovunque. In questo senso ci sono aziende di serie A e di serie B, dove le prime si prendono cura della propria gente.
A Shopify, i lavoratori hanno ricevuto uno stipendio aggiuntivo di $1.000 per acquistare le forniture necessarie per i loro spazi di ufficio in casa. Nel frattempo, su Twitter, tutti i dipendenti hanno ricevuto un rimborso per le apparecchiature dell’home office, tra cui scrivanie, sedie e cuscini ergonomici. Così, se lavorare da remoto diventa la norma, gli stipendi dell’home office potrebbero diventare un vantaggio per tutti, per i dipendenti che si gestiscono meglio, così come per le aziende che abbassano i costi, afferma l’autore di bestseller e futurista Jacob Morgan. E con una visione del genere in testa, chi tornerebbe a lavorare per la fabbrica che vessa i propri dipendenti? Quel modello lo sentiamo tutti come superato, anche se solo in pochissimi mesi, ma sembra appartenere a un mondo del lavoro vecchio di cent’anni, legato all’immagine del dipendente che lavora a testa bassa, 8 ore al giorno.
3. A misura anche delle donne
Questo cambiamento nella struttura del posto di lavoro potrebbe avere un enorme impatto anche sulle donne, poiché sono generalmente più propense degli uomini ad adeguare le loro carriere alla famiglia. In effetti, circa il 31% delle donne che hanno interrotto la carriera dopo aver avuto figli ha dichiarato che non avrebbero voluto, ma che hanno scelto di farlo a causa della mancanza di flessibilità del datore di lavoro. Questo risulta da un sondaggio FlexJobs del 2019 condotto su oltre 2.000 donne con figli di età inferiore ai 18 anni.
Una cultura del lavoro più flessibile potrebbe anche creare più equità in casa poiché sia gli uomini che le donne sarebbero in grado di trascorrere del tempo di qualità con le loro famiglie.
Ed anche questo scenario si somma ai precedenti, per rispondere alla domanda: “perché i lavoratori non sono più disposti a tornare al passato?”
Sebbene una più ampia varietà di opzioni e una maggior flessibilità non risponde a tutti i nostri problemi di lavoro, si somma agli altri punti, creando un muro oltre al quale sempre più persone vedono una nuova luce. E l’esempio di altri paesi mostra che è possibile creare una cultura più equilibrata, anche proprio per quanto riguarda la parità di genere. Ad esempio nei paesi scandinavi, i quali offrono maggiore flessibilità ottenendo in cambio maggiore integrazione ed equilibrio tra gli status di uomini e donne.
4. A misura dei robot
La sicurezza di garantirsi un futuro passa anche di qua. Ovvero, per quegli impieghi dove non è così facile essere sostituiti dalle macchine. Gli “esperti di futuro” hanno a lungo messo in guardia dai ”robot che rubano il lavoro”, e la pandemia di coronavirus non ha fatto che aumentare i timori che l’automazione sostituirà i posti di lavoro di tanti lavoratori. A causa delle misure di distanziamento sociale, molte organizzazioni, dai ristoranti ai rivenditori, sono state costrette a trovare il modo di operare con il minor numero di dipendenti fisicamente presenti possibile. Un ulteriore vantaggio: i robot e gli algoritmi non possono ammalarsi.
Il coronavirus “ha causato un’accelerazione dell’automazione”, afferma tra i tanti Karen Fichuk, CEO di Randstad North America, aggiungendo che chi oggi è senza lavoro potrebbe voler sviluppare nuove competenze per trovare nuove tipologie di posti di lavoro. “Quello che stiamo vedendo è la significativa necessità di un massiccio aggiornamento e riqualificazione, specialmente in quei lavoratori che sono stati licenziati”.
Chi sarebbe disposto a tornare a fare lo stesso lavoro di prima, sapendo di poter essere facilmente licenziato. Di nuovo?