di Follotitta – corrispondente dagli USA –
Qual è il motivo per cui la donna, che a livello individuale si è evoluta come non mai nella storia dell’umanità, collettivamente rimane al palo? Eppure non è una minoranza e non vi sono impedimenti biologici o metafisici che lo possano impedire ed anche fisicamente è il vero sesso forte (vive mediamente più dell’uomo e dare alla luce è piuttosto arduo). Teoricamente potrebbe anche essere indipendente dall’uomo per la perpetuazione della specie. E allora? Cosa le manca per fare una rivoluzione e raggiungere una vera parità?
Ne abbiamo cominciato a parlare QUI, e ora continuiamo.
De Beauvoir risponde
De Beauvoir risponde che, a parte il condizionamento psicologico, le manca l’unità. Ogni donna, a parte isolati movimenti femministi, pensa a sé non come appartenente ad un gruppo distinto dall’uomo, ma come ad un individuo integrato nella società tramite l’uomo. Ed è per questo che sopporta il ruolo inferiore come una necessità più che una costrizione.
Ogni donna, tranne casi isolati di scelte assolutamente personali, si sente dipendente dall’uomo ed i due sessi non hanno mai condiviso il mondo e la storia in modo paritario. Il voto, l’accesso a nuove possibilità di studio e di lavoro, la renderebbero evoluta psicologicamente ed indipendente; ed anche se solo una minoranza accede a situazioni di vero prestigio decisionale e di affluenza economica (basta contarne il numero in qualsiasi consiglio di amministrazione), la maggioranza non ne trae un vero vantaggio. Ed alla libertà antepone la protezione materiale che le fornisce l’uomo.
La donna si oggettivizza, diviene la creatura di un’altra volontà, stabilendo un legame con l’uomo al di là di qualsiasi tipo di reciprocità. La dualità di qualsiasi relazione provoca conflitti ed a maggior ragione questo è vero anche nella relazione tra i sessi, dove il vincitore diviene l’assoluto. In realtà il risultato del conflitto sarebbe anche potuto andare a favore della donna o rimasto indeciso. E invece no, il mondo è sempre rimasto saldamente in mani maschili e questo malgrado il recente cambio di paradigma; malgrado la donna abbia dimostrato ampiamente la propria capacità di emergere e primeggiare, il mondo e la storia rimangono ancora appannaggio maschile.
Un ruolo marginale
Come mai alla donna spetta un ruolo così marginale? Ed anche qui la risposta è semplice: l’uomo fonda la ragione della propria supremazia sull’assoluto, quindi un diritto intrinseco al loro ruolo; mentre la donna è rassegnata al proprio “altrismo”. La preghiera ebrea del mattino per l’uomo recita: benedetto sia il Signore per non avermi creato donna; mentre la donna al mattino prega con una nota di rassegnazione: Benedetto sia il Signore per avermi creata secondo la Sua volontà.
E’ stato solo nel 18esimo secolo che uomini autenticamente democratici hanno cominciato a guardare alla condizione della donna in modo più obiettivo. Tra gli altri Diderot cercò di dimostrare che la donna è un essere umano alla stessa stregua dell’uomo; o lo stesso John Stuart Mill; mentre nel 19esimo secolo i movimenti femministi hanno portato il dibattito su un piano nuovamente partigiano. Cosa era successo? Semplicemente la rivoluzione industriale che aveva portato una massa di donne a diventare forza lavoro ed a competere con salari più bassi con l’uomo; spostando la diatriba dalla teoria alla pratica e su posizioni più aggressive soprattutto da parte maschile.
La proprietà terriera aveva perso parte del proprio valore psicologico, ma la borghesia rimaneva attaccata alla moralità garantita dalla proprietà privata ancorata alla solidità della famiglia. E per riordinare l’ordine delle cose la donna, divenuta una vera minaccia, fu comandata indietro dentro la rassicurante stabilità delle mura domestiche. Gli antifemministi si appoggiarono nuovamente non solo alla religione, alla teologia, alla filosofia, ma anche alla scienza, alla biologia, alla psicologia sperimentale; per giungere alla fine a garantire al massimo una “uguaglianza nella differenza”, la stessa formula degli uguali ma separati della segregazione e discriminazione razziale.
Giustificando inferiorità
Per giustificare l’inferiorità sessuale, religiosa, razziale la formula è sempre stata la stessa: l’eterno femminino, l’anima nera, il carattere ebreo.
Un circolo vizioso basato su un semplice assunto: se ti mantieni in una condizione di inferiorità vuol dire che sei inferiore. Ma la condizione non può essere statica, anche se molti uomini preferirebbero che lo fosse. Ed anche se la borghesia vede nella emancipazione della donna una minaccia per la moralità ed i loro interessi;, certamente la situazione oggi, nel 2021, non è più la stessa degli anni ’40 in cui Simone de Beauvoir scriveva “Il Secondo Sesso”.
Oggi la donna è più partecipe della vita sociale e politica, è più interessata al lavoro ed alla propria carriera, al proprio avanzamento e posizione nella società. Convive con l’uomo su un piano di parità ed è pronta a lasciarlo in qualsiasi momento la propria dignità dovesse essere sminuita o la propria indipendenza messa in discussione Ed è proprio l’abbandono che più spesso che volentieri è la causa di tanti femminicidi; l’uomo sente il proprio ego, imbevuto di cieco egoismo, sconfitto, e davanti alla presunta irragionevole ostinazione di quella che aveva supposto essere la propria complice, ricorre al gesto estremo, coadiuvato dalla mentalità maschilista di cui è ancora pregna la società e le istituzioni (non dimentichiamo che sino a pochi anni fa in Italia il delitto d’onore era perfettamente e legalmente non punibile, un vero e proprio incitamento ad uccidere).
Conflitto tra dentro e fuori
Il dramma della donna è nel conflitto tra l’aspirazione fondamentale di qualsiasi soggetto ad essere artefice del proprio destino ed il peso di una tradizione sociale che pretenderebbe che solo la stabilità del matrimonio e della famiglia può fornire gli ingredienti necessari per una vita felice. Quando la donna si è accorta che può essere felice solo se è un individuo libero, ecco che l’ago della bilancia si è spostato sempre più verso la libertà come l’ingrediente principale per superare il conflitto. E malgrado il condizionamento millenario di forze psicologiche, fisiologiche ed economiche, ci sta riuscendo.
Parlare oggi di “eterno femminino” non ha più senso, così come pensare che le donne non abbiano più che guadagnato il diritto ad essere considerate membri a tutti gli effetti della razza umana. Ed anzi mi incomincerei a chiedere se per caso non fossero gli uomini che per tanta parte della storia non abbiano usufruito di questo diritto assolutamente senza alcuno sforzo o merito.