La disciplina non è sexy e non è affascinante. È un’etica e un credo. È il terreno su cui costruire qualsiasi cosa ne valga la pena.
Alessio Roberti, Docente di Innovation Coaching, Master Trainer PNL e Coaching, Professore di Comunicazione Efficace e media digitali, recentemente ha pubblicato su LinkedIn un articolo-riflessione sui “blackout” nel basket di Kobe Bryant. Che c’entra Kobe col business? Ecco cosa.
Kobe, blackout e business
Roberti scrive: “Il cervello umano vuole lavorare il più efficientemente possibile. Per poter accedere a quell’efficienza, dobbiamo creare delle buone e solide abitudini. Complessivamente, queste si traducono in disciplina.
Nel 2007, la Nike mi mandò a Los Angeles per partecipare alla primissima Kobe Bryant Skills Academy. Avevano messo insieme i migliori giocatori di liceo e college (tra cui James Harden dell’Arizona State) per un mini-camp intensivo di tre giorni, dove avrebbero imparato dai migliori del mondo.
Pochi metterebbero in dubbio che allora Kobe fosse il migliore giocatore in campo. Jordan era il passato, LeBron era il futuro e Kobe era l’uomo giusto.
“Se vuoi scoprire i veri segreti, devi osservare la preparazione“
Sui suoi allenamenti giravano da sempre delle leggende metropolitane. Tra noi del mestiere si diceva che Kobe li chiamasse “blackout” al posto di workout. Facendo parte dello staff, volli approfittare dell’occasione che avrebbe potuto non ripresentarsi più e chiesi a Kobe se avrei potuto guardarlo mentre si allenava.
È così che funziona nel mio lavoro. Il gioco è visibile a tutti, ma se vuoi scoprire i veri segreti, devi osservare la preparazione. È la stessa differenza che c’è tra acquistare un album di Jay-Z e trovarsi nello studio mentre lo scrive e lo registra.
“Certo,” disse Kobe. “Vado domani alle quattro.” “Ma non abbiamo una sessione alle tre e mezza domani pomeriggio?” gli ricordai. “Lo so,” rispose. “Io mi alleno alle quattro di mattina.”
Ah ecco.
Allenamenti alle 4… del mattino
“Presto per presto, pensai, tanto valeva cercare di fare buona impressione su Kobe e dimostrargli quanto fossi serio come trainer. Perciò mi organizzai per batterlo sul tempo. Quando la mia sveglia suonò alle tre in punto, saltai subito giù dal letto, mi vestii e presi un taxi. Arrivai alla palestra intorno alle tre e mezza: fuori era buio pesto.
Ma non appena scesi dal taxi, notai che la luce della palestra era già accesa. Potevo sentire il rumore di una palla che rimbalzava e lo stridio di scarpe sul parquet. Entrai silenziosamente dalla porta laterale e Kobe era già completamente sudato. Stava facendo un buon riscaldamento prima di iniziare con il vero workout.
Mi presi una sedia, senza dire niente a lui o al suo trainer, e mi misi solo a guardare. Per quarantacinque minuti rimasi scioccato. Per quarantacinque minuti osservai il migliore giocatore del mondo fare gli esercizi più basilari. Osservai il migliore giocatore sulla faccia della terra lavorare sui passi fondamentali. Osservai il migliore giocatore sulla faccia della terra praticare le mosse offensive basilari.
Lo ammetto, faceva tutto con precisione chirurgica e l’intensità di un supereroe, ma quello che faceva era così semplice. Non potevo crederci.
Più tardi, quel giorno, andai da lui. “Grazie ancora,” dissi, “mi è piaciuto davvero guardare il tuo allenamento stamattina.” “Nessun problema,” rispose Kobe.
Poi esitai, non volendo sembrare scortese o, peggio, altezzoso. “Sei il migliore giocatore del mondo: perché fare tutta questa roba di base?” Sfoderò quel suo sorriso smagliante. “Perché credi sia il miglior giocatore in campo?” domandò. “Perché le basi, i fondamentali, non mi annoiano mai.”
Sapeva che se il suo gioco di gambe non fosse stato maniacalmente preciso, allora il resto del movimento non sarebbe mai stato perfetto. E sapeva che l’unico modo per farlo era con la pura ripetizione. Kobe aveva capito l’importanza di costruire le cose passo dopo passo, mattone su mattone; venerava letteralmente i fondamentali.
Se qualcuno del livello di Kobe ha bisogno di dedicare ore alla pratica dei fondamentali, lo stesso vale per tutti noi. Kobe mi ha dato un insegnamento cruciale quella mattina.
I fondamentali sono SEMPLICI, MA NON FACILI. Se fossero facili, tutti sarebbero in grado di metterli in pratica.
Inizia dal gioco di gambe
Tutto ciò che un giocatore fa inizia dal gioco di gambe: ogni tiro, ogni passaggio e ogni scivolamento difensivo. Le gambe sono il pilastro dell’intero gioco. Un’impostazione corretta offre al giocatore più opzioni, sia in attacco sia in difesa. Migliora il rendimento, la velocità, la prontezza e l’agilità. Lavorare sul gioco di gambe fa salire il livello di un giocatore da medio a buono, da buono a grande e da grande a eccezionale.
È il motivo per cui Kobe ci ha dedicato così tanto tempo.
Finché non lo fai tuo, non puoi agire veramente, perché altrimenti il terreno su cui costruisci tutto il resto è fragile. Impara i fondamentali. Conosci i fondamentali. Sii padrone dei fondamentali. Chiediti: quali sono i fondamentali del tuo business?
Come consulente, speaker e autore, riconosco che non tutti sono d’accordo su quali siano i fondamentali del mio business. Molti credono che l’aspetto più basilare della mia attività sia la vendita. Io devo vendere i miei servizi ai clienti; una volta che sono stato ingaggiato, devo vendere il mio messaggio, le mie idee e strategie. Ma io scelgo di andare ancora più a fondo. Cos’è alla base della vendita? La comunicazione. Cos’è alla base della comunicazione? L’ascolto.
Analizzandolo a fondo, penso che l’aspetto più fondamentale del mio business, o comunque di qualsiasi business, sia l’ascolto attivo.
Ascoltare attivamente significa ascoltare per imparare, non ascoltare per rispondere. Significa ascoltare per connettersi, non ascoltare per replicare. Significa ascoltare empaticamente, cioè la capacità di cercare di vedere il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona e cercare di rispettare, apprezzare e comprendere la sua prospettiva. Se un’azienda, indipendentemente dalle sue dimensioni o dal suo settore, vuole distinguersi dalle altre, dovrà conoscere a fondo i fondamentali dell’ascolto attivo (sia dei dipendenti sia dei clienti). L’ascolto attivo è il “gioco di gambe” del business.
Estratto dal libro “Migliora il gioco di squadra” di Alan Stein Jr